Giovanni Farnesini è morto. E be’? Muore tanta gente. Ma lui non è “uno qualunque”: è il figlio di don Antonio, quello che anni e anni prima si disputava il controllo esclusivo del traffico di droga nel nolano con il clan Simonetti. E non è morto in un modo qualunque: gli hanno sparato in testa. Quando la colpa è grave, la camorra non usa mezzi termini. Mariasole Simonetti - che molti anni prima l’ha sposato su ordine del padre, don Pietro - adesso piange il morto ben sapendo che non se la può nemmeno prendere con gli assassini: la legge della camorra è legge, chiunque in quelle circostanze avrebbe fatto la stessa cosa. Avrebbe dovuto farlo. Mentre accompagna la salma, lei ripensa a come si sono conosciuti, al matrimonio combinato, al figlio che porta il nome del suocero e che oggi, a soli sette anni, ha già il dovere di farsi forza e di mostrare il suo carattere; e riflette: ora che il marito non c’è più - e che suo padre è in galera - ha finalmente la possibilità, se non di cambiarla, almeno di interpretare quella legge a modo suo…
Luigi Romolo Carrino, napoletano classe ’68, non è un esordiente e si vede. Scrive con padronanza e con scorrevolezza, e dipana la storia di tante famiglie che si avvicendano sulla scena criminale della provincia di Napoli evitando la confusione e tenendo ben fermo il filo della narrazione. Questa sua prima uscita con e/o, nella collana “Sabot/age” curata da Massimo Carlotto, è certamente ben-venuta: il ritmo è alto e - anche se l’ortografia del napoletano (abbondante, ciò che lo rende ancora più apprezzabile) non è impeccabile - si segue la storia senza riuscire a smettere. La camorra non è banalizzata né stereotipata, e colpisce per la sua “qualità” di essere una gabbia per gli affiliati, prima che per tutti gli altri, vincolati da regole semplici ma ferree e che non ammettono eccezioni, sentimenti, comprensione.
L.R. Carrino, La buona legge di Mariasole, ed. e/o, 2015.
(«Pagina3», 9 maggio 2015; «Mangialibri», 25 maggio 2015)
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