Vincenzo - Vicienzo - è stato abbandonato alla nascita in orfanatrofio, fino a quando il suo nuovo padre è venuto a prenderlo e l’ha portato via con sé nella sua bottega: lì ha imparato che con i materiali e gli strumenti giusti si possono fare un sacco di belle cose. Poi, crescendo, ha imparato a padroneggiare quegli strumenti con maestria, e oggi - negli anni che separano l’800 dal ’900 - è ben riconosciuto come artista dal notevole talento: non c’è chi possa dire a ragion veduta che le sue opere - di pittura, di scultura, anche d’oreficeria - non siano originali e affascinanti. In questo senso non gli manca nulla, se non la libertà: e finché rimarrà rinchiuso in questa clinica psichiatrica continuerà a mancargli. Non che sia pazzo, questo no; si tratta solo di un po’ di debolezza mentale - in parte dovuta anche all’estro - che tiene sotto controllo con i medicinali e un’attività creativa moderata. Ma quanto si può resistere sotto controllo fra quattro mura, nella città del sole e del mare? Perciò da un po’ di tempo non si diletta più tanto nel progetto delle sue prossime sculture, quanto in quello della fuga…
Wanda Marasco è uno di quei nomi che non hanno risonanza mediatica, ma che celano curriculum letterari meritevoli di ben altra attenzione, dal suo primo libro (2003) con la Prefazione di Giovanni Raboni ai suoi testi tradotti in inglese, spagnolo, tedesco e greco. Questo romanzo - finalista alla prima edizione del Premio Neri Pozza - è un’opera bilingue italiano-napoletano, nella quale il dialetto ha non solo cittadinanza ma dimora, per così dire - per l’entità della presenza nelle descrizioni e nel parlato dei tanti personaggi - e dà luogo a un’esposizione complessiva convincente fino al sorprendente. La storia di Vincenzo Gemito, orfano napoletano geniale e sofferente, viene messa su carta con grande incisività: bella la forma, bello lo stile, bella la storia. Un’opera matura che “rischia” di lasciare tracce in ben due letterature.
Wanda Marasco, Il genio dell’abbandono, ed. Neri Pozza, 2015.
(«Mangialibri», 14 aprile 2015)
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