Il giallo storico non è una novità, né di questi tempi (classici ad esempio quelli orientali di van Gulik e quelli dell’Aristotele detective di Doody), né di questi luoghi: senza voler scomodare Mastriani, ne abbiamo già viste delle belle, tra le altre, ad opera del Principe di Sansevero, protagonista dei libri di Nathan Gelb. Insomma, non originalissimo, questo libro si attesta su un livello medio in ogni categoria: è abbastanza ritmato, abbastanza scorrevole, abbastanza godibile. Ha però un grosso punto debole: la scarsa cura editoriale, che - pur con l’attenuante della lunghezza del testo - tollera refusi (come la “i” mancante di pag. 18), sviste (come i termini “commissario” e “regio”, scritti a volte con la maiuscola, a volte senza) e piccole sciatterie (come gli apostrofi d’apertura a testa in giù). L’ortografia del napoletano è invece sbagliata troppo spesso per poter parlare di svista: alcune parole terminano con l’elisione, altre con la vocale accentata; certe parole hanno l’accento nel mezzo; apostrofi fuori posto, mancanti o di troppo. E il lettore finisce per domandarsi perché dovrebbe impegnarsi nel seguire per quasi cinquecento pagine un testo cui nemmeno l’editor ha dedicato grande attenzione.
V. Bottone, Vicarìa. Un’educazione napoletana, ed. Rizzoli, 2015.
(«Mangialibri», 9 febbraio 2015)
