venerdì 23 gennaio 2015
Idiosincrasie - Quello che proprio non capisco
Chi mi segue su questo giornale, anche a settimane alterne - e a cui ho il piacere di rivolgermi, ogni volta rinnovato, da più di cinque anni - sa che sono molte le cose che non capisco. Oggi vorrei condividerne qualcuna qui. Per non sentirmi solo. Magari per farci una risatina. O per riflettere insieme su delle cose che trovo - ma certamente, come dicevo, è un mio problema - veramente incomprensibili.
Partiamo dal consiglio comunale di Caserta. Ci siete mai stati? Io per la prima volta, per un corso di formazione, all’inizio di dicembre. I banchi dei consiglieri sono disposti in maniera longitudinale a quelli del Presidente, per cui i consiglieri che vogliano guardare verso di lui si beccheranno un torcicollo permanente. Oltre alla bruttezza, lo spazio a disposizione della cittadinanza : una ventina di posti a sedere e altrettanti in piedi. Se in una città come caserta, di 70.000 abitanti, uno su 1.000 volesse partecipare… una metà sarebbe costretta a rimanere fuori. Come dire: uno su 1.000… non ce la fa.
Sorvoliamo sul sindaco che porta il suo saluto istituzionale all’aula, a corso già iniziato: “Buon lavoro a tutti” (cito testualmente) e se ne va; e dedichiamoci ai genitori che durante i cori di Natale della scuola, al duomo, si alzano per fare foto e filmini ai bambini sull’altare. Ogni volta mi domando: ma ’sti filmini se li rivedono davvero, o li fanno inutilmente? Visto che lo spettacolo se lo perdono in diretta, spero che almeno lo guardino in differita. In ogni caso, però, coprono la visuale a quelli che vorrebbero assistere; alla vecchia maniera, sai: uno sta seduto e guarda. Loro si divertono di più così? E chi lo sa.
Ma certamente sono io che non capisco. Niente di nuovo. Come nel caso dei due marò detenuti in India: prima di Natale (e prima che Latorre rientrasse per curarsi) ci siamo scandalizzati al rifiuto delle autorità indiane di concedere l’ennesimo permesso di tornare un po’ in Italia. “Sono già venuti in Italia e sono ritornati in India” precisa un amico, sottolineandone l’affidabilità. Un buon motivo per non chiedere il bis, penso io. E aggiungo: “E poi perché mai si dovrebbe permettere a due detenuti di tornarsene a casa?” “Non sono detenuti - replica - sono in attesa di giudizio”. “Be’, se sono in attesa di giudizio in India, e non a piede libero, perché ci stiamo scandalizzando che non li facciano tornare in Italia?” domando. “Ma è per le vacanze di Natale!” conclude lui. Ne ho sentite tante in vita mia; ma questa mai: due detenuti che tornano in licenza speciale per “farsi Natale a casa”. Istintivamente penso ai due pescatori morti in quelle acque: loro sì che non potranno più tornare. Almeno questo mi sa che lo capiamo tutti. Perfino io.
(«Il Caffè», 16 gennaio 2015)
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