Al centro della capitale austriaca - alla fine del 1800 - c’è una casa borghese, talmente alta e imponente da avere l’aspetto di una casa aristocratica. E in effetti sull’ingresso principale troneggia un grosso blasone caratterizzato da un “angelo musicante” intento a suonare una tromba, che mantiene l’ambiguità nonostante faccia uso di un simbolo palesemente non nobiliare (nessuno saprebbe spiegare, in città, come mai un imprenditore come lui abbia, sì, scelto un simbolo musicale, ma tanto dissimile da quelli da lui costruiti). È la casa di un fabbricante di pianoforti e della sua famiglia, che vive su; mentre al piano terra c’è una cartoleria che vende articoli comuni, dal lato dell’ingresso principale; e, alle spalle, in corrispondenza della rivendita, ci sono i locali in cui vive la signorina Sophie Alt, ultima discendente del costruttore del palazzo…
Incentrata sull’azienda i cui prodotti vengono chiamati con il nome che dà il titolo al libro, e sulle vicende della famiglia che con quell’azienda si identifica, è questa un’opera che - nonostante il doveroso rispetto nei confronti del classico, anche se non di primo piano - sembra non reggere l’usura del tempo, nel suo dipanarsi in descrizioni particolareggiate fino all’inutile (o, peggio, all’ambiguo; ci si domanda: “Perché me lo starà dicendo?”) e soprattutto nel tematizzare ossessivamente il conflitto del diciannovesimo secolo fra l’aristocrazia decadente e la borghesia emergente, la paranoia per la visibilità pubblica e lo status symbol. Dubbia insomma l’opportunità di un’operazione editoriale che ripropone oggi l’ennesima storia di una “grande famiglia”, in un volumone di oltre seicento pagine la cui lettura non cambia la vita.
E. Lothar, La melodia di Vienna, ed. e/o, 2014.
(«Mangialibri», 19 gennaio 2015)
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