Si può essere più o meno d’accordo con la loro tesi sull’inutilità della galera, ma non si può negare che i tre principali rappresentanti dell’anarchismo classico - Kropotkin, Goldman e Berkman - ne parlino con cognizione di causa e per esperienza diretta: tutti e tre l’hanno conosciuta, a causa del loro attivismo politico, e ne traggono in sostanza le stesse conclusioni. È anche innegabile che le prigioni non siano piene zeppe di supercriminali sociopatici e pericolosi, ma in gran parte di individui che hanno rubacchiato o fiancheggiato per venir fuori da una situazione di miseria o di estrema precarietà (o anche da una nullafacenza che in queste ultime due prospera). Non lo si dica per giustificare ciò che è illecito (la legge è la legge), ma per non chiudere gli occhi di fronte all’evidenza: se le cose per queste persone non cambiano (grazie alla possibilità concreta di un lavoro o di una protezione sociale adeguata, che offra una speranza oltre che una mera sussistenza) esse - ed altre come loro - si troveranno sempre nuovamente a dover scegliere tra la galera… e la disperazione.
Pëtr Kropotkin, Emma Goldman, Alexander Berkman, Anarchia e prigioni. Scritti sull’abolizione del carcere, ed. Ortica, 2014, pp. 80, euro 10.
(«Mangialibri», 2 dicembre 2014; «Pagina3», 7 dicembre 2014)
