Per un attimo mi sono sentito un verme, pensando che la mia insensibilità a momenti faceva un’altra vittima. Però ho pensato anche: tutto il resto funziona, la cassa, i pop-corn, il bar, i bigliardini... funziona tutto quello che si paga. Il bagno, che è gratis, non ha le maniglie (e d’altro canto, cambiarle potrà forse costare una cinquantina di euro: cifra che non sballa il bilancio di nessun cinema). È un caso? Mi sarebbe piaciuto scrivere un pezzo su quanto si mostri falsa, una volta di più, la solita retorica del privato efficiente e brillante e del pubblico che per quanti sforzi faccia rimane sempre agli occhi dei più come quello in cui non funziona niente; ma lascio perdere. Dico solo una cosa: perché il privato in difficoltà – e un piccolo colosso come quello di cui stiamo parlando – desta commozione ed empatia, mentre il pubblico, decimato dai tagli alla spesa e dai blocchi delle assunzioni non fa altrettanto pena, ma continua a fare solo schifo? Una difficoltà del privato la leggiamo volentieri come l’eroismo di chi cerca di portare avanti la baracca nonostante le tante difficoltà; la più lieve mancanza da parte del servizio pubblico viene invece subito additata come l’ennesimo scandalo di una burocrazia inetta ed inerte. Non c’è niente da fare. Noi il pubblico, cioè quello che è di tutti, lo disprezziamo per principio. E si vede.
(«Il Caffè», 14 novembre 2014)
