A Gavoi, nella Sardegna profonda, non succede mai niente e il commissario Sperandio, d’origini romane, con un debole per i libri e la passione della poesia, passa il tempo tra la routine dell’ufficio e il dispensare consigli ai paesani che, in assenza del parroco, volentieri ne accettano da lui, unico intellettuale della zona. Proprio non si aspetta la chiamata del suo amico di corso ed ora questore Gavino Zurru: deve andare subito a Cagliari, dove una nave si è sfracellata nel porto inclinandosi da un lato. Un cargo, per la precisione, giapponese, vuoto e senza equipaggio. Bel mistero per un poliziotto di provincia che è comunque l’unico dal talento adatto a sciogliere un enigma che ha a che fare con una vecchia poesia tedesca…
Giorgio Manacorda, poeta del quale abbiamo già avuto occasione di parlare si cimenta qui con il romanzo breve (anche se non per la prima volta; è già stato finalista al Premio Strega con il suo precedente Il corridoio di legno - Voland 2012): un giallo in cui il protagonista è intimamente stretto fra la solitudine che lo vede legato unicamente al suo fido Scotch, e una carriera iniziata brillantemente molti anni prima, ma adesso bloccata nel peggiore dei modi in un angusto confino, senza nessuna spiegazione. Con un pizzico di malinconia nella descrizione della libreria che abbonda di polpettoni ma non ha a scaffale neanche un poeta italiano contemporaneo. In una bella edizione Voland.
G. Manacorda, Il cargo giapponese, ed. Voland, 2014, pp. 165, euro 14.
(«Pagina3», 2 ottobre 2014)
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