Napoli colera. Roma ladrona. Sicilia mafia, Italia spaghetti (o Berlusconi). Paese che vai, stereotipo che trovi. E che non riesci a sradicare né con mille controesempi, né con il ragionamento puntuale né ancora con la critica alla generalizzazione in sé. Quindi potrebbe non stupirsi nessuno al sentire “Calabria ’ndrangheta”: eppure è ingiusto. Ingiusto nei confronti di quei tanti, tantissimi calabresi che criminali non sono. E se ne vantano. E fanno di tutto per combattere quel cancro che devasta il presente e cancella il futuro. Di quei tanti calabresi che rischiano in prima persona, rimettendoci del proprio. È mai possibile che un’intera regione d’Italia, ricca della sua tradizione, dei suoi sapori, delle sue tante bellezze non solo paesaggistiche… debba venir ridotta non solo a un luogo comune, ma al peggiore fra tutti i possibili?
«Dire la verità senza marchiare tutti come si fa con il bestiame o con una stirpe maledetta»: questo l’intento di Alessandro Russo, giornalista, che dati alla mano mostra l’infondatezza e il danno di una stigmatizzazione che, paradossalmente, finisce per colpire i “buoni”, quelli che col malaffare non hanno nulla da spartire e che spesso - in una realtà difficile come quella del sud Italia tarlato dalla criminalità organizzata - ne pagano direttamente le conseguenze, in un modo o nell’altro. Un libro che merita attenzione, proprio come il problema che affronta: perché le parole uccidono più delle schioppettate, si dice in quello stesso sud; e parlare dei problemi in maniera corretta è il primo passo per capirli bene e provare a venirne fuori.
A. Russo, Marchiati, ed. Sabbia rossa, 2014, pp. 152, euro 13.
(«Pagina3», 26 ottobre 2014; «Mangialibri», 3 novembre 2014)
domenica 26 ottobre 2014
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