Luigi Iannone s’interroga sul futuro di una destra che in un certo senso si è suicidata, anche se in ciò ha molto inciso (e continua a farlo) un passato inaccettabile dal quale non riesce ma a svincolarsi del tutto. Bruciata a causa di scelte sbagliate e di alleanze con personaggi discutibili, “parvenu catapultati in ruoli e responsabilità molto più grandi delle loro reali capacità culturali e politiche”. Una destra di governo che, nel tentativo di “europeizzarsi” secondo modelli d’oltralpe, ha finito per perdere la propria italiana specificità; e che, a forza di annacquare le più tradizionali convinzioni, ha ridotto il proprio ruolo a delle rivendicazioni “standard” come la difesa aprioristica e incondizionata delle forze armate (indifendibili quando ree, ammette l’autore), confinando il prooprio entusiasmo patriottico alle manifestazioni sportive e alle parate militari. Non è vero, in definitiva che destra e sinistra non esistano più; esisterebbero eccome, se solo ci fosse qualcuno in grado di rappresentarle in parlamento. Un pamphlet scritto con una parzialità lucida e onesta, che spazia tra Marx e Jünger, Heidegger e Rousseau, Dante e Leopardi, e che sa sottolineare le ragioni degli altri anche quando si tratti di avversari (come nel caso delle tesi di Diego Fusaro, noto per il suo orientamento spiccatamente marxista).
L. Iannone, Sull’inutilità della destra, ed. Solfanelli, 2014.
(«Pagina3», 25 settembre 2014; «Mangialibri», 7 ottobre 2014)
