lunedì 18 agosto 2014
Una giornata alle Poste
Ore 8:40. Sono appena arrivato all’ufficio postale di viale Ellittico, quello accanto alla stazione. Sarei voluto arrivare prima, per non fare tardi in ufficio: ma il caldo e l’allergia, da un lato; la stanchezza e il Brachetto della comunione di ieri, dall’altro, mi fanno muovere con più lentezza del solito. Poco male: l’ufficio è chiuso. L’unica porta aperta è quella riservata ai dipendenti, con tanto di scritta: “Accesso non consentito all’utenza”. Molto meridionalmente mi ci infilo e domando spiegazioni. «Apre alle 9 e 30 - mi dicono due impiegate. - C’è un cartello affisso all’esterno”. Un cartello? Neanche l’avevo visto. «E da quando c’è questo orario, diciamo così, “insolito”?». «Da dicembre scorso». Strano. Sono venuto a gennaio a ritirare della corrispondenza, e non ricordo che le cose stessero già in questo modo. Ma se me lo dicono loro, non ho motivo di dubitarne. Non che questo, d’altro canto, cambi la mia situazione: dovrò aspettare qui quasi un’ora.
8:50. Cominciano ad arrivare altre persone, nessuno sa di questo nuovo orario. E sì che è in vigore già da sei mesi. «Apre alle nove e mezzo» rispondiamo a chi, giunto dopo di noi, ci chiede spiegazioni. «Come i signori!» dice uno. «Incredibile» dice un altro. «Hanno ragione, lavorano troppo» fa un altro ancora. Cerco di continuare a leggere senza entrare nelle polemiche alla fin fine noiose e tutte uguali che si accendono in questi casi. Quando sono arrivato qui ero il terzo: c’erano due persone davanti a me. In breve diventiamo una decina. E ogni volta che arriva un altro chiede: «Chi è l’ultimo?». E ogni volta qualcuno di buona volontà gli spiega l’intero percorso della fila. Ormai lo conosciamo a memoria, dal primo all’ultimo.
Ore 9:28. Viene un’altra persona e la storia si ripete: vai con le spiegazioni. Proprio alla fine dell’esposizione, con due minuti di anticipo, arriva una delle impiegate di prima ad aprire la porta; civilmente, nessuno si scaglia contro di lei. Meno male, mi aspettavo peggio. Appena apre l’ultima serratura, qualcuno dice: «Mi raccomando, i numeri all’interno prendiamoli secondo l’ordine di arrivo». Ma certo, ce lo siamo ripetuto fin’ora. Credo che me lo sognerò perfino stanotte. Ma in realtà quello che mi sogno è verrà rispettato. Ci si tuffa tutti in branco all’interno, in una calca vergognosa, ormai siamo più di venti. E si prendono numeri a caso, strappati con mani che si allungano nella stanza dagli angoli più impensati, qualcuno ne prende addirittura due o tre. Qualcuno sbraita, ma la cosa finisce lì. E pensare che un attimo prima tutti si lamentavano delle Poste; loro però, anche se aprono tardi, si danno un orario e lo rispettano. Noi, peggio delle pecore, non sappiamo nemmeno fare la fila. È uno di quei momenti in cui ti vergogni di essere casertano. Poi passa, e mi dico che domani andrà meglio. O no?
(«Il Caffè», 25 luglio 2014)
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