lunedì 21 luglio 2014

Lavorare manca/2

«Il lavoro è una grande mistificazione: passiamo la gioventù a cercarlo e il resto della vita a cercare di liberarcene. [...] Eppure senza lavoro non esistiamo. Una volta si diceva addirittura che il lavoro serve a realizzarsi, come a dire che chi non lavora non è neppure reale». Il salariato è sempre stato schiacciato fra due leve: da una parte la retorica del lavoro a tutti i costi (quella che “il lavoro nobilita l’uomo”, “chi non lavora neppure mangi”, ecc.); dall’altra la realtà di un lavoro che è fatica, che a volte strappa prematuramente i giovani alla scuola e ai giochi dell’età, che riduce l’uomo a merce (o a “risorsa umana”, che è lo stesso). A cui si aggiunge la difficoltà di chi si trova a lavorare in un momento storico-economico-politico come il nostro, in cui il lavoro è svilito, svenduto, offeso: dove si dice a chi lavora poco e pagato meno che dovrebbe considerarsi fortunato, “perché almeno ha un lavoro”; dove di fatto è già difficile mantenerselo un lavoro, figuriamoci trovarlo.

Il lavoro deve essere protetto perché è come l’acqua, come l’aria, è lui che ci tiene insieme e senza non si può vivere

Diego Marani, nel suo recentissimo romanzo Lavorare manca (ed. Bompiani), affronta il tema da tutte queste prospettive; in una narrazione ricca di aneddoti, riflessioni e accenti sulle tante contraddizioni dell’attuale mondo del lavoro salariatoin cui trovano posto pagine sul comunismo, sui Finmeccanica sulla Thatcher (con il suo pessimo e celebratissimo: “La società non esiste”) e perfino su FaceBook. Ma ciò su cui si concentra l’autore è l’ineliminabilità del lavoro: bello o brutto che lo si consideri, senza lavoro non c’è vita umana, almeno non nel senso in cui la intendiamo oggi (e forse ancora più in generale); si può pensare una società senza lavoro, ma in questa in cui viviamo non si può farne a meno. In questa società, chi non lavora non solo non fa l’amore, come dice la canzone, ma smette di appartenere ad essa, diventando un escluso. L’Italia è fondata sul lavoro non solo nel senso delle intenzioni e dei princìpi; ma anche nel senso che - senza il lavoro - è la nazione stessa a venire meno al crescere della disoccupazione. Sta accadendo sotto ai nostri occhi. Il rischio è che neanche ce ne accorgiamo.

(«Il Caffè», 18 luglio 2014)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano