Ovvero: la fisica - per quanto ben fondata, benvenuta e benemerita - non coincide con la realtà; la fisica non è la visione del mondo, ma una visione del mondo, e nemmeno la prima: «L’esperienza è la sorgente unica della verità: essa sola può insegnare qualcosa di nuovo, essa sola può darci la certezza».
In più, la fisica costruisce modelli i quali - lungi dall’essere la “riproduzione fedele” della realtà, come vorrebbe un certo scientismo - stanno alla realtà come la diagnosi medica sta al quadro sintomatico del paziente (e non alla realtà del paziente tout court). Ecco perché Poincaré, ancora a proposito dell’esperienza (e dell’eterna illusione di poter un giorno attingere la “cosa in sé”), può scrivere: «Non potremmo accontentarci della mera esperienza? Questo è impossibile. Equivarrebbe a disconoscere completamente il carattere vero della scienza. Lo scienziato deve fare ordine: la scienza si fa con i fatti così come una casa si fa con i mattoni, ma l’accumulazione dei fatti non è scienza più di quanto un mucchio di mattoni non sia una casa».
Un messaggio di grande fascino e di grande attualità, nell’ambito di un dibattito scientifico asfissiato dall’autocelebrazione e dal prometeismo. In una bella edizione Dedalo con sovraccoperta e la Prefazione di Piergiorgio Odifreddi.
Jules Henri Poincaré, La scienza e l’ipotesi, ed. Dedalo, 1989-2012, pp.230, euro 16. Prefazione di P. Odifreddi.
(«Pagina3», 17 aprile 2014)
