In medicina viene definita “autoimmune” quella patologia per la quale il sistema immunitario - normalmente deputato a combattare la presenza perniciosa di agenti estranei all’organismo - si mette di punto in bianco ad attaccare gli organi sani del corpo, rovesciando così la sua missione in quella opposta: distruggere la salute dell’organismo anziché preservarla.
Massimo Amato e Luca Fantacci, autori di Come salvare il mercato dal capitalismo. Idee per un’altra finanza (ed. Donzelli), sostengono - pur senza usare la metafora del lupus - che la finanza stia da tempo comportandosi con i mercati proprio allo stesso modo. Il perché è molto semplice, come semplice è l’idea alla base della finanza stessa: un’azienda produce ricchezza (beni e servizi di valore, che vengono acquistati volentieri e che migliorano la qualità della vita degli acquirenti), ma non avendo soldi da investire per svilupparsi ulteriormente li chiede in prestito; ecco che si fanno avanti gli azionisti, che “scommettono” sul futuro dell’azienda prestandole i loro soldi e diventando così in un certo senso “soci” dell’impresa. In questo modo l’azienda può progredire e creare ancora più ricchezza; la società può trarne maggior vantaggio; gli azionisti possono ritirare gli interessi della loro “puntata” iniziale.
La finanza serve a questo. Non ad arricchire quelli che vivono di finanza e che non fanno nessun altro mestiere che comprare e vendere azioni. La finanza serve a sostenere le piccole imprese, non a farle schiacciare dai grandi gruppi che prima ne riducono il valore, poi le inglobano. Ma questa funzione economica “positiva” - secondo Amato e Fantacci - la finanza non la svolge più da tanto tempo. Al contrario, si è dedicata a spolpare progressivamente i mercati delle risorse produttive, fino al tracollo del 2008.
Ecco perché i due autori sono convinti che questa finanza (e non la finanza in generale) vada radicalmente riformata. Oddio, i mercati crollerebbero! Tutt’altro: si avrebbe finalmente la possibilità di regolare i mercati su quelle cose da cui prendono il loro stesso nome: le merci. Smettendola di trattare erroneamente da merci quelle che non lo sono: il credito e la moneta.
Dettagliato e tecnico al punto giusto, il libro si propone a tutti coloro che desiderino approfondire questa tematica al di fuori degli irritanti stereotipi televisivi, per cercare di rispondere alla domanda: “Perché non riusciamo a venir fuori dalla crisi?”. Con una speranza ben delineata: progettare un’altra finanza si può.
(«Il Caffè», 11 aprile 2014)
sabato 12 aprile 2014
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