Il mio nome è Khalid. Ho 13 anni, le scarpe rotte e una fame che la vedo.È così che inizia a parlare di se stesso, Khalid: un ragazzino che si sente grande perché ha “quasi la barba” e porta con sé il pugnale che gli ha regalato suo nonno. Ma è pur sempre un ragazzino: anche se viaggiare su quel barcone da Tripoli insieme a tutti quegli adulti, vecchi, donne incinte, in mezzo al grande mare per tre settimane… può farti dimenticare quanti anni hai. Un’esperienza piena di segreti (come il cantuccio della sala macchine in cui ha nascosto gli auricolari e la foto di suo fratello); della speranza che, una volta a Roma, riuscirà a trovare qualcosa da fare; e della voglia di mostrare a tutti, a quelli che sono rimasti “a casa”, che Khalid non è una “pippa” e che sa farsi strada nel mondo. Da solo.
Il mio nome è Khalid, di Monica Mondo, è un romanzo appena edito da Marietti, la cui storia si dipana nella cornice della guerra civile libica di questi anni e racconta dell’epopea romana di un ragazzino che si imbarca per sfuggire alla guerra e alla tragedia della sua famiglia, divisa in due tra il padre miliziano e il fratello guerrigliero ribelle. Tra episodi di razzismo e semplici incomprensioni, ma anche momenti di colore e d’amicizia e le prime inaspettate attrazioni verso le ragazze, leggiamo qui una narrazione in soggettiva dell’esperienza della migrazione, attraverso gli occhi di un personaggio che solo ieri era un bambino e che, ancora carichi di ingenuità e di entusiasmo, ci ricordano che sono tanti quelli che in questo mondo hanno avuto una vita molto, molto meno facile della nostra. D’improvviso, chissà per quale strana associazione di idee, prendo a pensare a quella donna che ho visto raccattare da terra un mezzo mozzicone ancora acceso e mettersi a fumarlo, all’uscita della stazione centrale di Napoli. A quei tanti sconosciuti che ti cercano con lo sguardo per strada per avvicinarti, chiederti un soldo, farfugliare qualcosa e andare via. E penso a Khalid - non quello del romanzo, uno che vive a San Nicola la Strada - che nel chiedere l’elemosina al semaforo mi disse di cercargli un lavoro. Khalid vuole lavorare, non elemosinare. Né regali né furti: Khalid vuole trovare il suo posto nel mondo, guadagnandosi ciò che gli spetta. Che questo 2014 possa essere ricordato come l’anno in cui il mondo divenne un posto in cui trovarono il proprio posto tutti i Khalid del mondo.
(«Il Caffè», 7 febbraio 2014)