domenica 2 febbraio 2014

Fuori e dentro l’aula

Buonasera. Due diverse sentenze, pronunciate da due diverse Corti e due estremi del Paese ci impongono una riflessione sulla giustizia. I magistrati di Palermo hanno spazzato via le fantasiose ricostruzioni sui rapporti tra mafia e politica nel periodo buio delle stragi; hanno ritenuto incredibili le rivelazioni del pentito Spatuzza che per anni, pagato dallo Stato, con le sue dichiarazioni ha avvelenato la vita pubblica e la reputazione di tante persone perbene. Nonostante questo, gli stessi giudici hanno trovato il modo di condannare il senatore Marcello Dell’Utri a 7 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, un reato molto discusso e francamente molto discutibile. E allora ci viene un dubbio: non è che chi è vicino a Berlusconi alla fine qualcosa debba pagare? Nelle stesse ore, in un’altra aula di giustizia, un magistrato dichiarava non punibile Massimo Tartaglia, l’uomo che attentò al premier Berlusconi colpendolo con una statuetta durante un comizio. Per lui nessuna detenzione, solo libertà vigilata e dimora in una comunità dove possa curarsi. Ora è chiaro che nessuno vuol vedere un incapace in cella, ma ci viene un secondo dubbio: non è che chi si accanisce contro Berlusconi, alla fine, non paga mai?.
Così Giovanni Toti, Direttore di “Studio Aperto”, all’indomani delle sentenze dell’Utri e Tartaglia (vi consiglio di guardare il video in internet, è veramente notevole: http://goo.gl/95j92O). Era l’estate del 2010, e subito pensai: “Questo ragazzone ne ha del talento. Farà strada, altroché se ne farà”. Oggi, meno di quattro anni dopo, leggo che aspira nientepopodimeno che al ruolo di Coordinatore unico della rinascente Forza Italia. Ma non è di Toti che vien da parlare al riguardo (dopo aver riascoltato il suo pezzo al tg, si rimane senza parole): piuttosto, si vorrebbe parlare delle tante carriere (sindacali, giudiziarie, giornalistiche…) che, in un modo o nell’altro, finiscono in Parlamento.
È giusto o è sbagliato? Andrebbe vietato per legge? Chi cambia mestiere è un voltagabbana (che ha sempre tramato nell’ombra per conseguire quell’obiettivo), o uno che ha capito che poteva essere più incisivo e utile per il proprio Paese all’interno di una Camera? Ci si accapiglia con i colleghi, si alza la voce, qualcuno impreca. Si parla subito male dei tanti Bertinotti ed Epifani; a seguire dagli a Grasso, Di Pietro e Ingroia. “Cosa è peggio?”, irrompe uno, “entrare in politica dichiarando apertamente la propria scelta di campo, o rimanere a fare il proprio mestiere in maniera faziosa?” (improperi tra i pro e contro Santoro e Travaglio, Feltri Belpietro e Sallusti).
Alla fine la meglio l’hanno i “lealisti”: non dovresti mai cedere alla tentazione della politica (dove si guadagna e si è tentati più che altrove): potrai essere un buon sindacalista solo se continui a guadagnare poco come quelli che cerchi di difendere. Ci sta, non del tutto, ma ci sta. Quello che rimane è solo la nostalgia di qualcuno con la coscienza abbastanza a posto da poter dire: “Io? Mai fatto niente del genere”. E la gioia infantile, istantanea e irrefrenabile di potergli credere.

(«Il Caffè», 31 gennaio 2014)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano