“Occhio per occhio, dente per dente”: l’antica regola della giustizia è giunta fino ai nostri giorni in forme aggiornate ma sostanzialmente affini, che a malapena si distinguono fra quelle che ammettono la pena di morte (“chi ha ucciso deve pagare con la vita”) e quelle che la rifiutano (“chi ha ucciso deve marcire in galera per tutta la vita”).
Fine pena mai, di Tina Cioffo, Francesco Diana e Alessandra Tommasino (ed. La Meridiana), parla del nostro modo “moderno” di intendere la giustizia in Italia. Non è la solita tirata sulla crudeltà di una pena senza fine (che dà il titolo al libro), né la consueta riflessione sulla contraddittorietà di un sistema penale e carcerario che si pone come obiettivo la “rieducazione” ma al contempo prevede l’ergastolo. Si tratta invece della considerazione - declinata secondo i modi delle lettere dal carcere, delle interviste ai detenuti e del saggio sociologico - del ruolo che la detenzione potrebbe avere non solo a vantaggio dei carcerati ma, ecco la vera novità, a vantaggio della società intera.
Il problema principale di chi si trova in galera è infatti che, una volta uscito, non sa proprio dove sbattere la testa per sbarcare il lunario. Se la prima volta è cascato nella malavita per ignoranza, comodità o superbia, la seconda volta rischia di farlo per necessità, perché non ha nessuno su cui contare e, banalmente, non ha un lavoro (né un’arte) che gli permetta di affrancarsi di fatto dalla sua condizione precedente. Ebbene, al riguardo le statistiche e gli studi mostrano che i detenuti che affrontano realmente un percorso di reinserimento durante la detenzione (e che sono riusciti a mantenere saldi i propri rapporti affettivi) sono i meno esposti al rischio di recidiva: molti di loro riescono davvero a rifarsi una vita. E non c’è niente di più utile (e che dia più sicurezza) alla società… di un uomo che abbia conosciuto il crimine e abbia giurato a se stesso di non caderci più. Ecco perché una pena come l’ergastolo - che limita fortemente i contatti con le persone care e non offre nessuna speranza di reinserimento - sembra non solo contraddittoria, come si diceva, ma perfino controproducente.
Quello della carcerazione (e del “fine pena mai” in particolare) è un tema da trattare il più possibile lontano da isterie e sentimentalismi: qui sono i numeri, i fatti e le testimonianze a permettere di formarsi un quadro reale della situazione. Questo libro è un ottimo modo per cominciare ad affrontare la questione carceraria dal punto di vista di chi la conosce bene e dall’interno. Con la Prefazione del giudice Ferdinando Imposimato.
(«Il Caffè», 6 dicembre 2013)
domenica 8 dicembre 2013
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