Nell’immaginario collettivo, non solo quello popolare ma anche ad esempio quello sedicente qualificato degli invitati ai tanti talk-show, la Borsa è vista come qualcosa di essenzialmente matematico, fatto di grafici e di cifre in rapida successione, in parte imprevedibile, ma in parte anche regolare ed anzi calcolabile.
Eppure i valori della Borsa non sono affatto numeri determinati in maniera endogena (non assomigliano cioè al risultato di calcoli effettuabili su dati esistenti in astratto da qualche parte); essi sono bensì l’esito di complessi fenomeni di interazione sociale, in cui giocano fattori psicologici, storici, economici, sociologici, perfino demografici e in cui il comportamento degli attori coinvolti (come quello degli analisti o degli investitori) può influenzare in maniera determinante il risultato a valle, soprattutto quando tale comportamento si dirige in maniera tutt’altro che disinteressata e finanche scorretta (come nel caso purtroppo frequente in cui gli analisti… condividono interessi con gli investitori).
Proprio per questa tendenza a realizzare le sue stesse “profezie” (cioè a generare entusiasmo - si legga: investimento - tramite la generazione di altro entusiasmo), si può creare nelle Borse del terzo millennio una euforia irrazionale che tende a ingigantire le cosiddette “bolle speculative” fino a farle scoppiare. Euforia irrazionale è proprio il titolo che Robert J. Shiller, padre della “finanza comportamentale”, ha scelto per il suo libro dedicato agli “alti e bassi di Borsa”, recentemente stampato da Il Mulino, editore ormai storicamente tra i più attenti ad indagare le ricadute umane e sociali delle politiche economiche più dissennate.
In 300 pagine scritte con la precisione dello studioso, ma che per la scorrevolezza e la semplicità del linguaggio si leggono come un’inchiesta giornalistica, Shiller parla ad uno ad uno di tutti gli ingredienti che hanno composto la micidiale miscela della crisi, dall’illusione dei “mercati efficienti” alla “volatilità speculativa”, dai “fattori acceleranti” (come ad esempio internet) a quelli “amplificatori” (schemi “Ponzi”).
Oggi gli esperti piangono il disastro e forniscono nuove previsioni. Ma allora, quando gli studi su cui Shiller si basa esistevano già da vent’anni, perché nessuno ne parlava, preferendo alimentare una visione astrattamente algebrica dei mercati finanziari per la quale, alla fin fine, se le cose sono andate male pare non sia colpa di nessuno? Visione assurda e fatalista delle cose, che si continua a sostenere nella fiabesca e fondamentalmente ridicola idea che “i mercati sappiano regolarsi da soli”. Abbiamo visto. Certo, le cose sono un po’ più complicate di così. Ma anche un po’ più semplici: le banche affondano e io pago. Ne riparliamo nel prossimo numero.
(«Il Caffè», 20 dicembre 2013)
domenica 22 dicembre 2013
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