sabato 16 novembre 2013

Italian clandestine

L’Italia abolisce il reato di clandestinità e subito c’è la ressa a chi si straccia di più le vesti: il primo è Luttwak - uno di quei celebri nomi d’oltreoceano di cui nessuno sa esattamente di che cosa siano esperti, visto che mettono bocca su tutto, dal turbocapitalismo alla decadenza di Berlusconi - il quale ci “spiega” che la tragedia di Lampedusa è colpa del Papa, che incoraggia le migrazioni (dimenticando che il suo presidente Obama, molti anni prima di Francesco, aveva detto - nel corso della sua visita ufficiale in Africa - che gli africani hanno il diritto di emigrare dove gli pare). In casa nostra, Marcello Veneziani scrive sul «Giornale» che l’Italia adesso non potrà aspettarsi altro che “flussi incontrollati” di migranti (anche se non mi risulta che lui o la testata per cui scrive abbiano mai proposto nulla per “controllare” questi flussi, mentre a lungo hanno discettato su come reprimerli, ridurli, estinguerli, nel più puro spirito della Bossi-Fini).
Ma la cantonata più grossa al riguardo - diciamo così, volendo credere fermamente che non si tratti di malafede - la prende sullo stesso Giornale Marcello Foà, nell’articolo del 7 ottobre scorso dal titolo “Cari africani, vi stanno ingannando (l’altra verità su Lampedusa)”, di cui riportiamo un ampio stralcio:
Ma perché l’immigrazione clandestina anziché diminuire continua ad aumentare? “Fuggono dalla povertà”, rispondono tutti. Vero. Ma non basta. Se così fosse i racconti di chi da noi non ce l’ha fatta e vive spesso in condizioni peggiori e più disumane che nel proprio Paese, dovrebbero bastare per scoraggiare i propri connazionali a intraprendere l’avventura. E le notize, sconvolgenti, di stragi come quelle di Lampedusa dovrebbero rappresentare il più formidabile deterrente. Ma così non è per una ragione semplice eppure ignorata da tutti: in Africa queste notizie sovente non arrivano. Anzi, i media continuano a diffondere il mito di un’Europa idilliaca, paradiso terrestre dove tutto è facile, dove la gente è bella, agiata, sorridente. [...] L’Europa è uno spot, dove tutto brilla. [...] La distorsione è accentuata dai racconti di chi lavora nel Vecchio Continente e che per orgoglio mente sulle proprie condizioni.
Ora: noi possiamo credere che gli africani siano degli illusi (come molte volte capita anche agli italiani, lo sappiamo bene), ma non che siano stupidi. Magari si faranno affascinare - come tutti - dalla smargiassata di qualche parente o dalla “idilliaca” immagine di questo Paese, ma ciò che più di tutto li persuade della verità di quelle cose è il denaro che gli giunge tramite i loro congiunti emigrati. E se Lampedusa non è un deterrente, come rileva Foà, non è perché sia poco pubblicizzata, ma perché in Italia gli immigrati stanno davvero meglio (o, se proprio si vuole: meno peggio) che nel loro Paese d’origine (perfino quelli peggio messi, grazie alla rete di connazionali già inseriti, sui quali possono sempre contare).
Mettiamocelo bene in testa, una volta per tutte: i migranti non vengono da noi a causa della propaganda, ma a causa della povertà (o della guerra). Non dimentichiamo che - per ognuno di quelli che rischiano la vita in mare e che tanto ci infastidiscono in quanto immigrati - c’è un emigrato che ha lasciato alle spalle tutto ciò che aveva, sacrificando se stesso, per dare un futuro (ma, più spesso un presente) ai suoi cari. Ma insomma, veramente possiamo credere che tutta questa gente venga qui a stare peggio di come stava a casa sua, lontano da moglie (o marito) e figli, dalle facce, i luoghi, le abitudini di sempre? Se fosse così, non se ne tornerebbero in quattro e quattr’otto a casa? È una cosa a cui non possiamo credere, perché non siamo così stupidi. Tanto meno gli africani.

(«Il Caffè», 15 novembre 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano