Bello l’articolo di Paolo Attivissimo su «Le Scienze» di settembre (“No, la scienza non è democratica”, p. 100). In sintesi, con un ragionamento semplice e solido, ci spiega che, quando si ha a che fare con la scienza, le opinioni non hanno tutte lo stesso valore: chi ne capisce della materia quasi sicuramente dice cose più sensate di chi ne è a digiuno. Sono quindi assurde e controproducenti rivendicazioni del tipo “la mia opinione vale quanto la tua” (tipica dei talk-show), “dico quello che penso” (cui siamo stati abituati fino alla nausea dai tanti reality), “tutte le ipotesi sono ugualmente valide” (che purtroppo la fa da padrona, secondo lui, nel giornalismo scientifico).
L’egittologa e l’esoterista - continua l’autore - non hanno la stessa possibilità di spiegare l’esistenza delle piramidi: e non perché esista un pregiudizio favorevole alla scienza (secondo il quale la scienza sarebbe sempre, per definizione, migliore di qualunque altra forma di sapere - forma deteriore di ideologia scientista che abbiamo tante volte criticato su questo giornale) bensì perché, nell’ambito che le è proprio - quello cioè dell’analisi materiale quantitativa, sottoposta a verifica con ripetizione - la scienza è oggi la più alta forma di sapere di cui l’uomo disponga. “Se torno dal morto - recita un detto delle nostre parti - non dirmi che è vivo”: il parere di chi sa è innegabilmente superiore a quello di chi ignora. Hai voglia a relativizzare, contestualizzare e via discorrendo. Pretendere che tutte le opinioni posseggano pari dignità per il solo fatto di essere tutte ugualmente esprimibili, è ridicolo ancor prima che pernicioso.
Insomma, “la mia ignoranza non vale quanto il tuo sapere” conclude Attivissimo citando Asimov, e ha ragione. Se ogni volta che ci si rompe la macchina ci affidiamo al meccanico invece che al salumiere, un motivo ci sarà. Ora, se tutto ciò riesce ad apparirci familiare e magari scontato, non lo è tuttavia il reciproco, che parimenti crediamo andrebbe affermato: se è vero che la scienza nel suo campo è la migliore… è pur vero che al di fuori del suo campo la sua opinione è pari alle altre, e inferiore a quelle qualificate. Che i ciarlatani, gli inesperti, gli opinionisti e i chiacchieroni la smettano di passarsi per fini pensatori, certo; ma, allo stesso modo, che la scienza la pianti di volerci insegnare a vivere ogni minimo dettaglio della nostra vita, dalla più bassa pubblicità in cui tizi in camice bianco si mettono a consigliarci il miglior yogurt sul mercato, sventolando i dati delle loro prove di laboratorio, alla più sofisticata teoria neuroscientifica che pretenda di spiegarci che il libero arbitrio è un’illusione o che - quando doniamo evangelicamente al povero la metà del nostro mantello - lo facciamo in realtà solo a causa delle azioni meccaniche del nostro cervello.
Buona parte della convinzione che chiunque possa esprimersi con profitto su qualunque cosa - che criticavamo in apertura - deriva proprio dall’atteggiamento della scienza, che ci ha abituati a sentire la sua campana su questo mondo e quell’altro. Se più scienziati praticassero maggiormente l’umiltà scientifica che vanno predicando (e di cui giustamente vanno fieri), meno imbonitori si sentirebbero in diritto di sparare la loro a ogni piè sospinto (e a meno tragedie andremmo incontro: del prezzo dell’errata comunicazione scientifica alla gente abbiamo già parlato il 16 novembre del 2012: “Le colpe della scienza”, a proposito della tragedia de L’Aquila). Con gran sollievo del dibattito pubblico… e delle nostre orecchie.
(«Il Caffè», 29 novembre 2013)
sabato 30 novembre 2013
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