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È stata la mia unica occasione d’incontro. Ma quella giornata non era ancora finita e dopo la cena comunitaria ce ne andammo a sedere su una panchina, prima di tornare ciascuno al proprio alloggio. Lì mi parlò dei suoi progetti (stava scrivendo un paio di libri, poi editi da Marietti) e mi chiese quali fossero i miei. Si infuriò quando gli dissi che non riuscivo a trovare il tempo per studiare e che concentrarmi sulla filosofia nei frammenti di giornata che mi restavano mi era sempre più difficile. «Il tempo per studiare lo devi trovare» mi disse con un tono che non ammetteva repliche, come di una cosa ovvia che io, semplicemente, avevo frainteso.
E ancora parlammo di Panikkar, autore che amava ma dal quale sapeva mirabilmente prendere le distanze; virtù più unica che rara, visto che negli studiosi del filosofo catalano la devozione prevale quasi sempre sulla scientificità. Ricordo che una volta, nel corso di un’intervista telefonica - poi uscita sull’«Altrapagina» del novembre 2010 - mi disse che il suo pensiero andava “oltre” quello di Panikkar; quando lo sentii mi sembrò molto audace, ma poi, ripensandoci, la sua era soltanto lucidità: quando rifletteva, il professore non faceva sconti. La sua genuinità nel discorso non lesinava l’elogio più caloroso, come non risparmiava la critica più tagliente, anche fino all’irrisione, a un avversario che ritenesse nel torto o in malafede; per lui anche la conferenza più affollata era sempre un’occasione di discorso vis-à-vis con ciascuno dei partecipanti.
Il suo temperamento sanguigno, unito a una grandissima onestà intellettuale, faceva della filosofia una questione universale e personale a un tempo. Poter godere della sua guida è stata per me una ricchezza, un privilegio, e una gioia ogni volta rinnovata. Un’amicizia che, come il sorriso di quel giorno, non potrò mai dimenticare.
(«l'Altrapagina», ottobre 2013)
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