È una cosa che conosciamo molto bene e che detestiamo, per esserci incappati chissà quante volte. Uno dei tanti sistemi attraverso i quali si cerca di incentivare il consumo di prodotti sempre nuovi: si crea il bisogno dove non c’è, per poter vendere poi l’oggetto che soddisfa quel bisogno (a persone le quali - se le cose fossero costruite a regola d’arte - di certo non ne avrebbero bisogno). Una delle tante forme di “usa e getta” cui ci siamo abituati in queste decadi; ma che ora non possiamo più permetterci, visto che i rifiuti ci arrivano fin sul pianerottolo di casa.
L’obsolescenza programmata è l’ultima frontiera dell’usa-e-getta. Neanche l’uomo vi sfugge.
S. Latouche, Usa e getta, ed. Bollati Boringhieri
Di questo problema e delle sue tante espressioni e ricadute parla il grande economista francese Serge Latouche nel suo ultimo libro, edito ancora una volta da Bollati Boringhieri: Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata. Che cos’è l’obsolescenza programmata? Quali sono le sue origini e la sua natura? Come funziona? È morale o immorale? Partendo da queste domande, Latouche giunge - con il suo solito incedere lineare e serrato, ricco di aneddoti e di riferimenti puntuali, stile che rende questa una lettura adatta anche a chi si avvicini a questi temi per la prima volta - a un ulteriore e inquietante interrogativo: non stiamo per caso correndo il rischio, accecati dall’ansia dell’accrescimento della produzione... di rendere obsolescente l’uomo, irreparabilmente surclassato dalla potenza di macchine che fra poco potrebbero non aver più bisogno di lui?
Come sempre quello di Latouche è l’invito a recuperare il buon senso che abbiamo a portata di mano, indicando la direzione di una società che può essere prospera anche senza crescere continuamente. L’uomo può governare il processo globale della produzione e volgerlo a suo vantaggio; se non lo farà, l’anarchia dei meccanismi economici continuerà a generare ingiustizia sociale, insostenibilità ambientale e in ultima istanza si scontrerà con la più dura di tutte le evidenze: l’impossibilità di generare una produzione infinita (e in gran parte superflua) a partire da una quantità finita di risorse. Più che un sogno di progresso, una follia.
(«Il Caffè», 12 luglio 2013)