Raimon Panikkar ha scritto raramente di politica e mai in maniera sistematica. Se si eccettua il trascurato libro Il «daimon» della politica e il piccolo I fondamenti della democrazia, è difficile rintracciare - pur nell’abbondanza della sua produzione - testi specificamente dedicati all’argomento (un’ultima piccola eccezione è costituita dal saggio “Filosofia e rivoluzione”, scritto nel lontano 1973, leggibile in internet in italiano a questo indirizzo: http://goo.gl/df0u8). È perciò tanto più benvenuta la pubblicazione del saggio “Teologia della liberazione e liberazione dalla teologia” da parte dell’editore Pazzini, all’interno del volume J.M. Vigil, L.E. Tomita, M. Barros, Per i molti cammini di Dio (evidentemente ispirato dalla ricca e carismatica figura di Panikkar, fin dalla copertina, su cui spicca la frase «l’incontro delle religioni del mondo reclama la costruzione di una teologia che possa abbracciare dentro il proprio orizzonte l’esperienza religiosa di tutta l’umanità... mai prima nella storia del cristianesimo e delle religioni si era presentata questa sfida»).
Saggio in cui Panikkar spiega che la Teologia della Liberazione inizio con la “liberazione dalla teologia”. Che vuol dire? Liberarsi dalla teologia vuol dire essenzialmente liberarsi dal pregiudizio di possedere una ragione (teologica, filosofica, scientifica, economica...) universale; vuol dire al contempo liberarsi dall’ipocrita (e tremenda) responsabilità di “doverla” imporre agli “altri” (gli infedeli, gli ignoranti, i primitivi...). Ogni colonialismo, non solo militare, è sempre preceduto da un colonialismo culturale (talvolta teologico: così un santo cristiano come Bernardo di Chiaravalle può benedire le crociate in quanto lo sterminio degli infedeli è un “malicidio”). D’altro canto, non basta pensare le cose in maniera diversa per cambiarle davvero: teoria e prassi vanno di pari passo, la liberazione dalla teologia deve poter produrre effetti concreti; ed è questo che ci ricorda, senza mezzi termini, la Teologia della Liberazione: «la teologia non è una scienza astratta e semplicemente descrittiva. Ciò si chiarisce esplicitamente nel momento in cui non possiamo difendere un’opzione per i poveri se non viviamo la povertà - che oggi giorno non è esclusivamente di carattere monetario. Ribadisco che la teologia è un’attività compromettente e difficile. Per questa ragione è anche liberatrice».
Un saggio, questo di Panikkar, da leggere insieme a quelli dei curatori Barros e Vigil, dedicati rispettivamente all’interreligiosità e al futuro della teologia, e ai tanti altri contributi d’interesse, tra i quali spiccano quello di Paul Knitter sui fondamenti del pluralismo e di Michael Amaladoss sull’esperienza personale di un cristiano indù.
(«l'Altrapagina», febbraio 2013)
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