I barboni, veri protagonisti di Flumen, romanzo di Filippo Strumia (ed. Elliot, 2012), sono una casta di semidei che con i loro poteri mentali controllano il mondo dirigendone le sorti nell'ombra, attraverso l'opera capillare e silenziosa degli “inferiori”: i benzinai. Ci sono tutti gli ingredienti per un thriller complottistico à la Matrix che prende le mosse dall'omicidio di un benzinaio trovato morto in circostanze atipiche ma simboliche; trama tuttavia tratteggiata in maniera insufficiente e priva di coerenza interna, svilita da uno stile verboso e fuori misura, sintomo di un autore che ha a cuore più i suoi temi (in primo luogo la religione) che la sua scrittura. Purtroppo Flumen è un giallo che finisce per dare ragione ai tanti detrattori della letteratura di genere (che la definiscono minore), in cui personaggi e situazioni non possiedono spessore né naturalezza e dove la narrazione - priva di ritmo - viene sopraffatta dai tanti (troppi) ragionamenti. Beneficio delle attenuanti per un autore al suo primo romanzo, ancorché non incensurato: Filippo Strumia ha già pubblicato nel 2011 per Einaudi la raccolta di poesie Pozzanghere.
(«Pagina3», 13 febbraio 2013)
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