Questo numero delle Considerazioni inattuali, primo dopo la pausa estiva, esce listato a lutto. Perché è morta la cultura napoletana, e a pezzo a pezzo se ne va anche quella italiana.
La notizia è dei giorni scorsi: l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – che il fondatore Gerardo Marotta ha portato avanti per oltre trent’anni utilizzando sporadici finanziamenti pubblici, ma più spesso le sue sostanze personali fino a prosciugarle – chiude i battenti. A cominciare dalla sua monumentale biblioteca: un patrimonio di 300.000 volumi, punto di riferimento nazionale ed europeo per la ricerca filosofica e storiografica è appena stato trasferito – a causa della mancanza dei fondi necessari al pagamento degli affitti – in magazzini, locali e sottoscala di fortuna della provincia napoletana (tra cui Casoria), accatastati alla meglio, ovviamente inaccessibili agli studiosi.
Adesso, dopo decenni di denunce pubbliche dello stato di precarietà delle finanze dell’Istituto, si fanno avanti magnati, mecenati e filantropi dell’ultim’ora che vorrebbero “dare una mano”. Diffidatene: sono i primi assassini della cultura, a Napoli, in Campania, in Italia, nel mondo; l’hanno uccisa a colpi violenti, ripetuti, spietati di sgravi fiscali alle aziende, tagli alla spesa pubblica, dibattiti sulla superfluità epocale della cultura umanistica. Ma non sono i soli: anche noi l’abbiamo uccisa a suon di “meno tasse per tutti”, di esaltazione dell’individuo a scapito della società, di mitizzazione della scienza e dell’istruzione scientifica per i nostri figli.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è morto. Con lui muore un po’ più velocemente la nostra civiltà, la quale – per inseguire le cose più luccicanti ed effimere – dimentica quelle importanti. Per poi piangere quando è troppo tardi. Una prece.
(«Il Caffè», 7 settembre 2012)
lunedì 10 settembre 2012
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