Eravamo quattro amici. No, non al bar. Ci vedevamo a casa mia una sera ogni due settimane per commentare e scambiarci i libri che avevamo letto tra un incontro e il successivo. Letteratura, filosofia, poesia, storia, attualità: ce n’era per tutti i gusti. Era la metà degli anni ’90. A volte c’erano degli ospiti, invitati dall’uno o dall’altro. Ma poiché in breve tempo gli amici fissi erano ormai divenuti una decina, si fece ben presto difficile ospitare nuove persone (molti si stranivano - giustamente - quando su richiesta fissavamo appuntamenti a bimestri di distanza). Per un po’ siamo stati delle piccole celebrità, ci fermavano alle feste per chiederci se eravamo noi a organizzare quegli incontri di lettura di cui avevano sentito parlare. Alla fine di ogni serata regalavamo un libro agli ospiti di turno (frutto di un’autotassazione). Poi gli impegni, l’età, gli spostamenti geografici ci hanno imposto di smettere. Ma per qualche anno ci siamo tanto divertiti.
Tutto questo mi è tornato in mente leggendo il bell'articolo di Menico Pisanti della settimana scorsa, sulla nostra biblioteca. Insieme a un altro ricordo, più recente, di quando fresco sposo mi sono trasferito a Caserta, nel 2003. Mi ero recato in biblioteca, a via Roma, per proporre una nuova forma di prestito: intendevo infatti mettere i miei libri (un migliaio) a disposizione della biblioteca, impegnandomi a fornire il catalogo completo e a consegnare - dietro richiesta dell’utenza - il libro in biblioteca entro la sera successiva. Le altre modalità del prestito sarebbero rimaste invariate: la biblioteca avrebbe mantenuto il suo ruolo di garante della consegna e della restituzione in buono stato del volume. Risultato: la biblioteca non avrebbe avuto bisogno di spazio né di scaffali; i libri sarebbero rimasti a casa mia; la città di Caserta avrebbe guadagnato la disponibilità di mille titoli; unico costo: la telefonata della biblioteca a me. Mi risposero che la forma non era prevista e che se volevo dovevo consegnare tutti i miei libri a loro. Nessuna alternativa. Se non quella - mi dissero - di rivolgermi a don Antonello, “ché lui le fa queste cose”.
Conclusione: non se ne face niente. Ma i tempi sono forse maturi per riproporre la formula. Estendendola a tutti i lettori di questo giornale e alle associazioni, istituzioni, organizzazioni del territorio casertano che ritengono la diffusione della cultura un obiettivo indispensabile e piacevole. Facendo una semplice moltiplicazione - supponendo che i lettori del Caffè siano anche soltanto 1000 a settimana (ma io credo e spero che siano molti di più) - è evidente che ove ciascuno mettesse a disposizione solo 10 dei propri libri, la Biblioteca di Caserta potrebbe espandere il proprio catalogo di 10.000 nuovi titoli (un quinto dell’attuale; se i libri fossero 50 a testa, il catalogo raddoppierebbe). Gratis. Nessun costo per la città; nessun costo per chi offre i propri libri; nessun costo per chi li riceve in prestito. Si facciano avanti i singoli e i gruppi che non ritengono quest’idea assurda o impraticabile. Il primo passo sarà ovviamente persuadere i responsabili della Biblioteca che la cosa si può fare. Fatto ciò, l’auspicio è che questo possa essere il trampolino per una condivisione della cultura più ampia e fruttuosa. Un auspicio, se vogliamo anche un po’ nostalgico, che quel gruppo di lettura cui ho partecipato in passato possa riprendere vita. Vedere giovani che leggono. Che si riuniscono, e leggono. Come sarebbe bello.
(«Il Caffè», 22 giugno 2012)
sabato 23 giugno 2012
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