Leggendo l’ultimo libro di Pietro Barcellona, La speranza contro la paura (ed. Marietti, 2012) sembra di venir risucchiati in una di quelle celebri distopie (penso ad Orwell, ad Huxley, al Gilliam di Brazil) in cui il mondo funziona a rovescio e l’individuo è schiacciato da un meccanismo anonimo e onnipotente che fa di tutto per asservire l’uomo e fargli credere che - così facendo - non si adopera ad altro che alla sua sicurezza e felicità. Con due fondamentali differenze: che tutto ciò di cui parla il professore catanese è completamente reale; e che, almeno stavolta, la possibilità di venir fuori dall’incubo esiste. Nonostante tutto.
Nonostante il potere economico-finanziario (il più grande tra i poteri che governano il mondo d’oggi) lavori senza sosta per spogliare l’uomo della sua facoltà di agire socialmente (cioè collettivamente, con ripercussioni reali su un mondo condiviso). Nonostante lo faccia in tanti modi: confinando sempre più l’uomo in una realtà atomistica, basata sull’individualismo egoistico, egocentrico, egotistico di un consumismo che propone incessantemente la soddisfazione di desideri (non di bisogni, ma di voglie create dall’immaginario della pubblicità) fino all’estenuazione; tramite una divulgazione scientifica che presenta l’uomo come un meccanismo neurobiologico cui sono riconducibili (e riducibili) tutte le caratteristiche che rendono ciascun essere umano libero e unico (per cui l’uomo, stringi stringi, non è veramente libero di agire come vorrebbe); con una deriva economica che distrugge il presente di tanti uomini messi fuori dal mondo del lavoro e il futuro di tanti giovani che letteralmente non sanno che farsene della propria vita; infine, mediante l’esaltazione del cieco caso e della bendata fortuna - a colpi di trasmissioni televisive basate sul gioco d’azzardo, di gratta-e-vinci e videopoker da bar - che propongono al singolo di sopravvivere fidando in un colpo di fortuna (svalutando così implicitamente, l’impegno, il sacrificio, in ultima analisi tutto ciò su cui può fondarsi la speranza vera e propria).
Insomma, il pensiero dominante pretende di far credere all’uomo che non c’è vera responsabilità né concreta chance di azione: perché gli uomini sono macchine e, d’altro canto, questo è già il migliore dei mondi possibili, dove il mercato globale (purché lo si lasci lavorare, senza intralciarlo con leggi e tutele) massimizza progressivamente i parametri di profitto, garantendo così che l’accumulazione della ricchezza sia sempre maggiore.
Ma in un mondo in cui «il criterio di successo di ogni strategia è la valorizzazione del capitale, non già il miglioramento della vita», i nodi prima o poi vengono al pettine, generando un’umanità impoverita, frustrata, incerta sul proprio destino: ecco che la realtà si ribella alla costruzione artificiale della propaganda e l’uomo comincia a nutrire paura. Paura di perdere ciò che ha, di non poter dare un avvenire ai propri figli, paura dello straniero, della minaccia terroristica e via discorrendo. La paura diventa la cifra di quest’epoca (ce ne accorgiamo da quanto siano diventate di moda la “sicurezza”, la videosorveglianza ecc.); ma, più forte della paura, c’è la speranza. Non l’illusione dei tanti “We shall overcome”, visione di un avvenire radioso quanto immaginario, bensì la convinzione di poter costruire qualcosa di nuovo, un tassello dopo l’altro e soprattutto di poterlo fare insieme (prerogative dell’uomo in quanto tale: la libertà e la socialità). Partendo da qui: dal ristabilimento di una prospettiva temporale articolata in presente, passato e futuro, contro l’appiattimento dell’orizzonte creato dall’edonismo, pietrificato in un eterno “subito” immutabile e stagnante.
Con una riflessione a cavallo tra la filosfia, la scienza, la teologia, la psicanalisi e la letteratura, Barcellona ci invita a riflettere sulla nostra strana (e atroce) condizione di individui-consumatori costretti a vivere per fare null’altro che pagare: sia per ciò che vogliamo (e che veniamo indotti ad acquistare freneticamente, al punto che quando non lo facciamo spontaneamente ci dicono che abbiamo il “dovere di consumare”) sia per ciò che non vogliamo (le crisi economiche di ieri, di oggi e di domani). Ma la vita dell’uomo è più di tutto questo: la vita dell’uomo è libertà, è novità, è creatività (capacità di creare l’inedito). “La situazione è diventata oggi abbastanza grave perché la speranza sia autorizzata”, scrive il filosofo francese Maurice Bellet. Possiamo dire basta, dice Barcellona, e a questo punto, anzi, dovremmo.
(«Pagina3», 24 maggio 2012; «l'Altrapagina», giugno 2012)
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