sabato 5 maggio 2012

Mio figlio è un bullo?

Parlare di bullismo a scuola fa subito pensare alle povere vittime, ai ragazzini maltrattati ingiustamente, a giovanottoni che approfittano della loro robustezza e del loro carisma per capeggiare gruppi violenti fino al selvaggio (che giustamente prendono il nome di “branchi”). Subito scatta, anche qui comprensibilmente, la condanna del fenomeno, la criminalizzazione dei responsabili, la colpevolizzazione dei genitori e via discorrendo.

Si rischia di dimenticare, in questi frangenti, che risolvere il problema, ripristinando la normalità (sia per le vittime, sia per i bulli) è più importante e più urgente che punire i rei. Si rischia di perdere di vista, infatti, che il bullismo è un problema non solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo compie. “Essere un bullo” non è proprio la cosa migliore per un ragazzo: nessuno di noi sarebbe felice di avere un figlio che maltratta, picchia, ferisce, umilia senza motivo i più indifesi tra i suoi compagni. Il bullismo è un problema anche per chi il bullo lo fa; nonché per i suoi genitori.

Il bullismo è un problema non solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo esercita. Spesso si continua a fare i bulli solo perché non si sa come smettere

Mio figlio è un bullo? (ed. Erickson, 2012), di Gianluca Daffi e Cristina Prandolini, parla proprio di questo, proponendo - come recita il sottotitolo - soluzioni per genitori e insegnanti. A differenza dell’altro libro sullo stesso argomento di cui abbiamo parlato in questo giornale il 1 ottobre 2010, questo affronta il problema dal punto di vista di chi lo crea. Con l’equilibrio e la sensibilità che sempre la casa editrice Erickson mostra verso le tematiche sociali in generale e dell’educazione in particolare, gli autori ci ricordano che è compito della società e della scuola educare tutti i giovani, senza discriminare nessuno, senza etichettare nessuno come “cattivo” o “potenziale delinquente”. Partendo dai luoghi comuni che vanno affermandosi intorno ai bulli e alle loro famiglie (ora che il fenomeno comincia a diffondersi, si diffondono anche gli stereotipi, le esagerazioni e gli allarmismi), Daffi e Prandolini ci spiegano come fare ad accorgerci se nostro figlio ha atteggiamenti da bullo; come prendere posizione di fronte alla consapevolezza che nostro figlio è un bullo; come fare ad educarlo e a tirarlo fuori di lì (dove, con ogni probabilità, neanche lui vuol continuare a rimanere). Sottolineando che la famiglia può avere avuto un ruolo preponderante nello sviluppo di questi atteggiamenti; e che, proprio per questo, può avere un grosso impatto nell’opera di aiutare il giovane a uscirne. Rivolto ai genitori e agli insegnanti di bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni.

(«Il Caffè», 4 maggio 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano