
Si rischia di dimenticare, in questi frangenti, che risolvere il problema, ripristinando la normalità (sia per le vittime, sia per i bulli) è più importante e più urgente che punire i rei. Si rischia di perdere di vista, infatti, che il bullismo è un problema non solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo compie. “Essere un bullo” non è proprio la cosa migliore per un ragazzo: nessuno di noi sarebbe felice di avere un figlio che maltratta, picchia, ferisce, umilia senza motivo i più indifesi tra i suoi compagni. Il bullismo è un problema anche per chi il bullo lo fa; nonché per i suoi genitori.
Il bullismo è un problema non solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo esercita. Spesso si continua a fare i bulli solo perché non si sa come smettere
Mio figlio è un bullo? (ed. Erickson, 2012), di Gianluca Daffi e Cristina Prandolini, parla proprio di questo, proponendo - come recita il sottotitolo - soluzioni per genitori e insegnanti. A differenza dell’altro libro sullo stesso argomento di cui abbiamo parlato in questo giornale il 1 ottobre 2010, questo affronta il problema dal punto di vista di chi lo crea. Con l’equilibrio e la sensibilità che sempre la casa editrice Erickson mostra verso le tematiche sociali in generale e dell’educazione in particolare, gli autori ci ricordano che è compito della società e della scuola educare tutti i giovani, senza discriminare nessuno, senza etichettare nessuno come “cattivo” o “potenziale delinquente”. Partendo dai luoghi comuni che vanno affermandosi intorno ai bulli e alle loro famiglie (ora che il fenomeno comincia a diffondersi, si diffondono anche gli stereotipi, le esagerazioni e gli allarmismi), Daffi e Prandolini ci spiegano come fare ad accorgerci se nostro figlio ha atteggiamenti da bullo; come prendere posizione di fronte alla consapevolezza che nostro figlio è un bullo; come fare ad educarlo e a tirarlo fuori di lì (dove, con ogni probabilità, neanche lui vuol continuare a rimanere). Sottolineando che la famiglia può avere avuto un ruolo preponderante nello sviluppo di questi atteggiamenti; e che, proprio per questo, può avere un grosso impatto nell’opera di aiutare il giovane a uscirne. Rivolto ai genitori e agli insegnanti di bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni.
(«Il Caffè», 4 maggio 2012)
