Rivoluzionare le istituzioni. Celebrazione della consapevolezza, di Ivan Illich (appena edito da Mimesis, a cura di Paolo Perticari, con l’Introduzione di Erich Fromm) ci pone, fin dalla copertina, di fronte a un interrogativo: cosa ci fa la rivoluzione nel titolo di un libro scritto da un pacifista, per di più prete cattolico? (Non aiuta, al riguardo, la scelta lessicale della precedente pubblicazione da parte dell’editore Armando: Rovesciare le istituzioni, che mantiene intatto il sapore forte della sovversione politica).
Occorre qui chiarire che Illich utilizza - da uomo di fede cristiana, cioè di pace, qual è sempre stato - “rivoluzione” in senso astronomico, nell’auspicare che le istituzioni di cui parla - spesso decrepite, dalle strutture inadeguate al contesto in cui si trovano, diverso da quello in cui sono nate, e ormai diventate in gran parte controproduttive, dando luogo ad effetti contrari ai propositi iniziali - possano avere una tale torsione su se stesse da permettere loro di guardare il terreno in cui affondano le radici, prima di rimettersi nuovamente in piedi.
Fuor di metafora, Illich osserva dal punto di vista sociologico che molte istituzioni odierne - nate appunto in contesti storici nei quali erano opportune e forse necessarie - oggi, per inerzia, consunzione o perversione dell’intento originario, sono diventate strutture burocratiche che soffocano l’ispirazione invece di favorirla.
C’è bisogno di tornare - per molte di esse, tra le quali la Chiesa cattolica che Illich, nonostante tratti dell’“estinzione del prete”, non ha mai pensato di sopprimere tout court, ciò che sarebbe «in contraddizione con le leggi della sociologia, oltre che con la sua missione divina» - allo slancio fondativo, per recuperarne il senso vitale ed efficace nel mondo moderno, a favore del bene dell’uomo (e non della nazione, del mercato, o di uno dei tanti idoli in linea con lo spirito dei tempi).
Quell’uomo che, spera Illich e noi con lui, possa quanto prima celebrare una rinnovata consapevolezza: quella di essere protagonista del mondo, non spettatore, di non essere destinato a subire le cose ma a crearle e a dar loro forma infaticabilmente, giorno dopo giorno. In questo Illich è stato rivoluzionario, sì: nel voler riconsegnare alla gente la propria libertà, che proprio le istituzioni tendono a sottrarre, “automatizzando” incessantemente la vita e irregimentandola nell’alveo delle statistiche (si pensi ad esempio alla pratica medica: oggi chi rifiutasse di curarsi secondo le prescrizioni del medico non sarebbe semplicemente uno che esercita la facoltà di scegliere autonomamente, ma un pazzo che non capisce l’oggettività del rimedio proposto; similmente, lo stesso medico non può scegliere la terapia, ma è assoggettato ai protocolli internazionali che deve limitarsi ad eseguire).
In Rivoluzionare le istituzioni Illich parla della violenza, del cristianesimo, della scuola, della povertà programmata, dello straniero (e di tante altre cose). Un libro ottimo per chi desideri cominciare ad avvicinarsi a questo autore e al suo punto di vista privilegiato: l’uomo.
I. Illich, Rivoluzionare le istituzioni. Celebrazione della consapevolezza, ed. Mimesis, 2012, pp. 164, euro 16.
(«Pagina3», 8 maggio 2012; «l'Altrapagina», maggio 2012)
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