sabato 31 marzo 2012

Non va meglio, ma potrebbe/1

Il libro di Charles Kenny dal titolo Va già meglio. Lo sviluppo globale e le strategie per migliorare il mondo (ed. Bollati Boringhieri, 2011) è un classico esempio della grottesca ingenuità con la quale tanti economisti leggono la realtà. L’autore - cui il più elementare senso di prudenza dovrebbe sconsigliare, in un momento di sfacelo economico come quello presente, di aprire il suo discorso con l’affermazione che “le cose vanno meglio ovunque” - è di quelli che riconducono tutti i problemi dell’umanità allo scarso sviluppo dell’economia, e dunque riducono tutti i problemi dei Paesi poveri a una semplice questione di aumento dei redditi individuali. Il cui corollario sarebbe - poiché è la somma che fa il totale! - che con un PIL più alto tutto il Paese starebbe meglio (il che ricorda l’argomentazione, a sua volta ingenua, di Zichichi a favore del nucleare: “all’energia atomica si deve dire subito di sì senza incertezze, perché dove c’è più energia ci sono più possibilità e quindi meno problemi e più soluzioni”).

Licenziamenti facili, disoccupazione alle stelle, prezzi in aumento e incertezza a tutti i livelli. E c’è pure qualcuno che ha il coraggio di dire che le cose vanno meglio

Kenny, che non fa altro che ripetere per quasi trecento pagine che “un rapido aumento dei redditi è sicuramente il Sacro Graal dello sviluppo”, mostrando in definitiva che la sua è più un’idea fissa che una convinzione maturata scientificamente, divaga in speculazioni lapalissiane come “non vi è dubbio che essere poveri faccia male anzitutto alla salute” o “oltre a permettere l’accesso a procedure mediche costose, la disponibilità di reddito consente un più facile accesso a una buona alimentazione e a pratiche di salute preventiva”. Ponendosi l’ambizioso obiettivo (che a posteriori, visto il risultato, è nient’altro che arrogante) di “combattere le visioni del mondo distopiche” e apostrofando come “Cassandre” sia coloro che affermano l’insostenibilità di una crescita infinita, sia coloro che negano l’equivalenza fra tale crescita e la felicità dell’uomo. A questo signore, per cortesia, qualcuno dovrebbe spiegare che sì, è vero, Cassandra profetizzava la sventura e non era ascoltata. Ma aveva ragione. Non va affatto già meglio. Proprio per niente. Però potrebbe. Ne parleremo la settimana prossima.

(«Il Caffè», 30 marzo 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano