domenica 26 febbraio 2012
Monti, l’economista
Quando un economista parla di economia lo si ascolta, ecco tutto. Non perché si suppone che abbia tutte le risposte o le soluzioni, questo no. Ma perché si immagina che sappia di cosa sta parlando. E allora lo si ascolta. Se poi quell’economista è un ministro delle finanze, lo si ascolta ancor di più. E se poi è anche il Presidente del Consiglio italiano, ebbene, si spalancano le orecchie.
(Anche a rischio di rimanerne scottati: come quando lo stesso Presidente - a dieci giorni dalla gaffe sui ventottenni sfigati
all’università, da parte del suo viceministro Martone - afferma che il posto fisso è “monotono”; poi si scusa. Almeno questo. Ma comunque troppo ravvicinata all’altra e troppo vicina ad episodi simili della scorsa legislatura per passare inosservata).
Per farla breve, quando Mario Monti ha detto che “l’articolo 18 frena la crescita economica” io ero lì ad ascoltarlo. In parte ne avevo già sentite altre su questo terrifico art. 18 (quello del licenziamento per giusta causa): che va rivisto, che non è un dogma, che simili lussi non ce li possiamo più permettere, che altrove nel mondo una cosa così non se la sognano nemmeno eccetera eccetera (qui non discuterò - lo so; si dovrebbe - delle tanto contestate applicazioni della norma da parte dei giudici o degli eccessi e degli abusi legati all’interpretazione). Però, al di là di tutto questo, Monti ha ragione: l’art. 18 frena la crescita.
È vero, impossibile negarlo. L’art. 18 non è un incentivo alla crescita, ma la tutela di un diritto dei lavoratori: del diritto, in particolare, a non venir licenziati secondo l’arbitrio del datore, ma nell’ambito di un patto sociale tra capitale e lavoro che ha delle regole. Può piacere o non piacere, ma in definitiva si tratta di questo. E questo - nel momento in cui il datore di lavoro ritiene preferibile sbarazzarsi di un dipendente - impedisce il licenziamento, frenando la crescita. (In maniera simile, potremmo dire, uccidere il proprio socio in affari che magari non è d’accordo con la politica aziendale, potrebbe far lievitare i profitti d’impresa. In questo senso, la legge penale - e la galera - sono un freno alla crescita).
Quindi non v’è dubbio: Monti ha ragione. E siccome sta pianificando una riforma dell’art. 18 in senso favorevole alla crescita (cioè riducendo il diritto dei lavoratori), vorremmo qui provare a immaginare quali saranno le prossime mosse del nostro stratega. In primo luogo immaginiamo, come conseguenza diretta, l’abolizione della cassa integrazione: è una spesa per lo Stato, che potrebbe venir utilizzata per abbassare le tasse alle aziende private (e ciò favorirebbe la crescita).
Ci arriveremo, quanto prima. Poi sarà il turno dell’assistenza sociale alle famiglie povere, che nulla producono e risorse succhiano. Niente di personale: ma frenano la crescita. E poi via le leggi sulla maternità delle donne lavoratrici, via il sostegno ai disabili: ecco le prossime riforme del nostro governo: in anteprima su questo giornale il ritratto dell’Italia di domani, Paese il cui motto diventerà “si arrangi (e si salvi) chi può”. Ma niente paura: la ripresa economica porterà bene e prosperità a tutti noi, proprio come ha fatto finora. Che la crescita abbia inizio.
(«Il Caffè», 24 febbraio 2012)
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