«Impaludato nella mitra e negli ornamenti arcivescovili, la personalità di maggior rilievo della Chiesa argentina fu protagonista di un grandioso funerale di stato, coerente con quello che fu la sua vita. [Il cardinale] Caggiano ricevette gli onori militari di un vicepresidente della Nazione. Nella strada, le truppe schierate dinanzi alla Cattedrale presentarono le armi all’uomo che aveva dedicato la vita a esaltarle come strumenti benedetti di salvezza nazionale e spirituale».
Horacio Verbitsky, giornalista argentino di fama internazionale, ricostruisce - nel volume L’isola del silenzio (ed. Fandango, 2006), frutto del lavoro di 15 anni - il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina,
sulla base di testimonianze dirette (sia di vittime della dittaura, sia di elementi della stessa milizia), documenti d’archivio, atti giudiziari. Ne viene fuori un’istituzione religiosa che non solo non ha condannato i crimini del regime (pur essendone in larga parte e dettagliatamente a conoscenza), ma vi ha addirittura partecipato in maniera attiva. Non compatta, certamente, eppure intensa, continuativa, deliberata, da parte di tanti suoi elementi di spicco (come appunto il cardinal Caggiano, o il provinciale dei gesuiti, il cardinal Bergoglio).
Una collaborazione concreta, pratica. In primo luogo, evitando di denunciare apertamente i metodi disumani di cui molti erano informati (i sequestri indiscriminati, i rapimenti notturni, la tortura, l’uccisione dei detenuti tramite lancio in mare, l’espropriazione forzata di tutti i beni delle vittime - di cui il sacerdote e segretario personale di Caggiano, Emilio Grasselli, approfittò ampiamente in prima persona). Soprattutto, accettando in silenzio che migliaia di individui venissero fatti “scomparire”, senza dichiararli come detenuti, dimodoché i familiari non potevano considerarli né vivi né morti (“desaparecidos”). Al punto da sconsigliare alle famiglie perfino di far ricorso all’autorità giudiziaria. Insomma, rendendo all’esercito un servizio spesso più efficace di quello della milizia stessa.
Ma anche una collaborazione teorica, teologica, non meno dannosa dell’altra. Giustificando la guerra scatenata dai militari all’inerme popolazione civile come inevitabile; giustificando la tortura come necessaria alla lotta anti-sovversiva (cfr. ad es. quanto scrisse il sacerdote Louis Delarue in un documento diffuso in tutti i reparti militari: «se la legge, nell’interesse di tutti, consente di sopprimere un assassino, perché mai si dovrebbe qualificare come mostruoso il fatto di sottoporre un delinquente, riconosciuto come tale e pertanto passibile di morte, a un interrogatorio duro [sic!] ma il cui unico fine è, grazie alle rivelazioni che farà sui suoi complici e sui suoi capi, proteggere degli innocenti? In circostanze eccezionali, rimedi eccezionali»).
Un libro che non entra nel merito delle dispute dottrinarie e che non vuole condannare la Chiesa come istituzione (né in quanto ultraterrena, né in quanto temporale), ma che documenta con estrema puntualità il disastro di una Chiesa che ha dovuto ascoltare, per bocca di uno dei suoi più alti esponenti (ancora Caggiano) l’elogio dell’affermazione del Vescovo di Verden del 1411: «quando la Chiesa si vede minacciata nella sua stessa esistenza, cessa di essere soggetta ai principi morali. Quando il fine è l’unità, tutti i mezzi sono benedetti: inganno tradimento, violenza, simonia, prigione e morte. Giacché l’ordine è necessario per il bene della comunità e l’individuo va sacrificato al bene comune».
H. Verbitsky, L’isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, ed. Fandango, 2006, pp. 155, euro 15.
(«Pagina3», 5 febbraio 2012)
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