Frutto del contributo di quasi cinquanta autori e delle riflessioni proposte nell’ambito dei due Convegni “Scrittura e impegno” (Faenza, 13 marzo 2010) e “Poesia e salvezza” (Fonte Avellana, 8 e 9 maggio 2010), ricco e sfaccettato si presenta il volume curato da Alessandro Ramberti dal titolo Salvezza e impegno (ed. Fara, 2010).
Si va dal poemetto al saggio, dalla suggestione alla favola per adulti. Tra i tanti, due sono i saggi che mi hanno colpito in particolare: quello di Alessandro Barban dal titolo “È possibile parlare ancora della salvezza” e quello di Antonio Spadaro: “Da che cosa ci ‘salva’ la letteratura?”.
Barban, monaco camaldolese e priore del monastero di Fonte Avellana, prende le mosse dal processo di secolarizzazione per affermare che la salvezza nell’aldilà oggi non interessa più a nessuno: ciò che solo conta è l’al di qua, al punto che perfino il concetto di salvezza ne viene trasformato, ridotto a mero benessere, al più a felicità. Parlare oggi della salvezza è divenuto dunque complicato a partire dal linguaggio,
ormai deviato in senso materialistico. Ma ciò non metta a tacere la fede - intesa non come adesione razionale a delle credenze, bensì come apertura all’esperienza consapevole della propria dimensione spirituale - in grado di ricondurre l’uomo all’essenziale: non tanto le risposte sulla divinità o la vita eterna, quanto piuttosto il bisogno di porsi le giuste domande di senso, che schiudano le porte della profondità dell’essere: «siamo salvi quando ricominciamo a credere alla vita, a sperare nel mondo e nella creazione, ad amare noi stessi, il nostro prossimo riconosciuto come uno dei doni più belli dell’esistenza, e Dio come mistero santo della vita». La salvezza come gioia, come mistero, come facoltà di continuare - nonostante tutto - a sperare.
Di tutt’altro tenore lo scritto di Antonio Spadaro, gesuita e rettore della redazione della rivista “La Civiltà Cattolica”, il quale - interrogandosi sul rapporto tra la letteratura e la vita - sottolinea che «se la letteratura non si confronta con le tensioni radicali di una vita umana, non ‘serve’ a molto». E ciò non perché si intenda creare un’estetica dell’impegno a tutti i costi, ma perché - come l’autore ricorda con una citazione - la realtà spesso ha bisogno di essere digerita, e la scrittura può essere lo “stomaco” giusto per digerirla. Analizzando e approfondendo la relazione tra le parole e i fatti, il testo e l’azione, attraverso le meditazioni di Raymond Carver e Teresa d’Avila, di Cocteau e Maritain, Spadaro mostra che la scrittura può fare qualcosa per dare un ordine alla realtà e renderla, almeno in parte, comprensibile. Né per la sola rappresentazione né per la pura astrazione: ma per mettere in gioco, in movimento, i significati e i valori della realtà. Una forma di salvezza.
Oltre 470 pagine di sollecitazioni diverse e difformi, non unitarie ma convergenti: il mondo di oggi non è fatto per chi ama starsene a guardare. La salvezza e l’impegno camminano sulla stessa strada.
(«Pagina3», 14 novembre 2011)
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