venerdì 7 ottobre 2011
M. Massimo, La morte data, ed. Manni, 2011
La morte data, di Mario Massimo (ed. Manni, 2009) è un libro d’altri tempi. Perché raccoglie racconti ambientati in epoche diverse. Ma anche perché è scritto con uno stile particolarmente poco contemporaneo, dall’incedere lento e sequenziale, quasi come se si trattasse di una maturazione (mentre lo stile odierno è per contro incline al frammentato, al concitato, all’immediato).
Le storie - ambientate come si diceva in epoche diverse, ma anche in luoghi dissimili e contesti affatto differenti, nei quali si parla spesso in dialetto, ora romano, ora napoletano, ora veneto - sono di per sé godibili, ma a leggerle con attenzione si ha quasi l’impressione che siano di sfondo (se non addirittura pretesto) per l’esercizio della lingua; il risultato cui l’autore sembra puntare non è tanto il climax della narrazione, bensì
l’effetto acustico di certi passaggi come il seguente: «impressioni che non si affievolirono in Flavio Voreniano benché ormai già venisse condotto, caduta che fu finalmente la sera, in lettiga, a spalle, alla villa appartata fra uliveti e vigne dove la presenza del mare non aveva più l’esuberanza lebbrosa con cui, giù in città, erodeva intonaci e legni, ma si assottigliava a festone di azzurro bordato dai sassi candidissimi a riva, in distanza». Dove non sono le immagini o i significati a farla da padroni, ma i sibili e gli schiocchi delle parole usate.
Tuttavia non si tratta né di uno sfoggio né di un esercizio accademico e in fin dei conti irrilevante: quella di Massimo sembra più una ricerca, il tentativo di scrivere bene, con ricchezza e padronanza, ma senza sbavature o inutili ricercatezze. Ne è un esempio la bella descrizione di un giovane data nel racconto “L’altro viaggiatore”: «era giovane, senza che s’invigorisse in troppa pienezza un persistere di adolescenza nella calibratura del corpo, cui la sobrietà degli abiti sottraeva poco delle proporzioni, a organare masse muscolari ad un tempo duttili ed energiche; e ancora più ammirevolmente si scandivano, nel modellato angoloso di zigomi e mento, le labbra colme e il misurato rilievo del naso, il terso smeraldo degli occhi: non c’era che dire, un gran bel ragazzo. Di una indisponente attrattiva», in cui l’uso sfrenato (ma non indiscriminato) delle “s” e delle “z” prima, e successivamente delle “d”, arricchisce il ritratto senza sommergerlo.
Storie memorabili e quotidiane, tra riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte. Una lettura insolita e piacevole.
Mario Massimo, La morte data, ed. Manni, 2009, pp. 190, euro 18.
(«Pagina3», 7 ottobre 2011)
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