giovedì 4 agosto 2011

Meglio il bagno, o la doccia?

Adoro dare buone notizie e ancor più adoro riceverne: ecco perché quasi saltavo dalla sedia quando ho letto, sul «Sole 24 Ore» del 6 giugno, il titolo dell’articolo di Micaela Cappellini: “Incentivi e flessibilità, la produzione in Occidente torna vantaggiosa. Da Caterpillar a Ford sono sempre di più i big che investono di nuovo negli Usa”.
Insomma, non è che io ce l’abbia con le tigri del sud-est asiatico, ma che volete fare, lo so che in un certo senso è immorale, eppure quando sento (ormai sempre più di rado) che la FIAT non se ne va più in all’estero e rimane in Italia... sono contento. E allora mi metto a leggere avidamente l’articolo del Sole, cercando di capire se il fenomeno riguardi solo l’America o se ce ne sia anche per l’Europa. Per capire se andiamo davvero verso il meglio. Per capire
come hanno fatto.
Leggo:
produrre negli Usa sta tornando conveniente. Più conveniente che in Cina. Ne tengano conto, le aziende italiane che progettano nuove fabbriche: il senso di marcia della delocalizzazione potrebbe anche invertirsi.

Finalmente si torna a produrre in America. Ma con salari e welfare di stampo cinese

Sembra fatta. Vado avanti:
la Ford ha riportato in patria 2.000 posti di lavoro grazie alla flessibilità contrattuale e al salario di 14 dollari all’ora ottenuti trattando con la United Auto Workers, il potente sindacato americano del settore automobilistico.
Che significa esattamente? Non mi è ancora chiaro come hanno fatto, mi metto in cerca di spiegazioni:
i salari in Cina, nelle aree più sviluppate della costa come Shanghai o Tianjin, stanno aumentando al ritmo del 15-20% all’anno [...] Al contrario, negli Stati Uniti, la crisi ha fatto fare a tutti un bagno di realismo. La flessibilità del lavoro - già parecchio applicata nel Paese - è stata aumentata.
La giornalista aggiunge che alcuni stati americani come ad esempio l’Alabama, per riprendersi una fetta della produzione, hanno agganciato i salari alla competitività (attenzione: non al costo della vita). Non manca infine un piccolo elogio delle qualità della backdoor statunitense, il Messico:
ha costi logistici minimi per via della prossimità geografica, la sua moneta si svaluta, i suoi salari sono bassi e gli scioperi poco diffusi.
Finalmente ho capito come faremo a riportare gli investimenti in Italia. Ridurremo il nostro welfare al di sotto di quello cinese (cioè lo elimineremo del tutto). Sciopereremo meno dei messicani (cioè, aboliremo il diritto di sciopero). Impareremo a lavorare 50, 60, 70 ore alla settimana (solo così la nostra busta paga, ancorata alla produttività, ci permetterà di rimanere al livello del costo della vita). Solo allora saremo competitivi. E solo allora potremo prenderci a nostra volta un sano “bagno di realismo”: che, paradosso dell’economia di mercato, assomiglierà molto, molto, moltissimo a una doccia. Gelata.

(«Il Caffè», 29 luglio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano