sabato 28 maggio 2011

L’economia come la vedo io/4

Ho sognato il paradiso del capitalista. Un posto dove tutto puo essere venduto e comprato, dove non vi sono tasse e dove lo Stato (di conseguenza) non esiste.
Nel sogno, io ero il capitalista. Proprietario di un’azienda, me la cavavo abbastanza bene. La mia famiglia - moglie e due bambini - aveva un tenore di vita che definirei benestante: potevamo cambiare auto e telefonini tutti gli anni, vedere ogni sorta di tv a pagamento, prevenire il peggio con delle assicurazioni sanitarie di un buon livello. Non c’era più la polizia statale, ma noi pagavamo una compagnia di vigilanza che
ci scortava dodici ore al giorno. Sanità privata, acqua privata, vigili del fuoco privati. Tutte cose a pagamento, certo, ma tutte scelte liberamente. Un paradiso.

A Treviso una donna di 44 anni è costretta a prostituirsi per sfamare i figli. A Trento il tribunale sottrae il neonato alla madre perché guadagna troppo poco. È l’Italia di oggi

Era un mondo libero, ricco, dove potevi spenderti come meglio credevi tutto ciò che guadagnavi. Qualche problemino, certo. Delle cosiddette “opere pubbliche” nessuno voleva saperne: della manutenzione stradale, ad esempio, nessuno se ne curava. Quando si arrivava al punto che un intervento era proprio necessario, si valutavano i preventivi di ditte specializzate e si commissionavano i lavori; ma poi c’era sempre quello (e magari fosse stato uno solo) che non pagava, che non era d’accordo, o che cantilenava “se avessi voluto spendere tutti questi soldi avrei pagato le tasse”. E così molte spese se le accollavano i soliti noti mentre quelli se ne andavano in giro a testa alta con aria da furbo e da chi si sente migliore degli altri. Del resto, non esistendo tribunali, ogni lite finiva con la vittoria di quello che riusciva ad alzare la voce più dell’altro. Insomma, era un mondo dove, semplicemente, il più forte aveva la meglio sul più debole. Come è sempre stato, come sempre sarà. Una legge di natura. E il sogno finiva qui.
Da sveglio, invece, sogno un sogno diverso: sogno un mondo in cui Nicola, pensionato di Ercolano, operato di tumore, non si veda negare la protesi (senza la quale non può parlare) perché cancellata dal tariffario in seguito ai provvedimenti antideficit della sanità campana; un mondo in cui una madre di Treviso, 44 anni, marito disoccupato e sfratto annunciato, non sia costretta a prostituirsi per sfamare i suoi due figli; un mondo in cui il Tribunale di Trento non sottragga il figlio alla madre dopo il parto perché questa guadagna solo 500 euro al mese. Io sogno un mondo dove il più forte e il più debole possano vivere entrambi ed aspirare ad essere felici, perché il più forte usa la sua forza a vantaggio di chi ne ha meno, la sua voce a vantaggio di chi non l’ha. Un mondo dove la forza è quella che crea bellezza e gioia, non quella che schiaccia e avvilisce. Un mondo dove non c’è posto per il fatalismo (e per l’alibi) delle “leggi di natura”, e dove gli uomini non cercano scuse di fronte alla povertà e alla sofferenza che possono essere evitate. Faccio lo stesso sogno tutti i giorni. Prima o poi, il mondo assomiglierà davvero a quello che sogno io. E allora mi guarderò intorno, incredulo e felice, e mi domanderò: “sogno o son desto?”

(«Il Caffè», 27 maggio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano