Giulietto Chiesa, giornalista, ha collaborato negli anni con diversi telegiornali nazionali, oltre a molte importanti testate italiane (tra le quali il Manifesto e Limes) ed è stato corrispondente da Mosca per La Stampa e l’Unità. Fondatore del sito Megachip (www.megachip.info), dedicato alla democrazia nella comunicazione, è autore di parecchi libri pubblicati con gli editori Feltrinelli, Piemme, Fazi. Per l’Altrapagina ha pubblicato: AA.VV., La crisi della democrazia (2006) e Il ritorno della guerra (2005).
Com’è lo stato attuale dell’informazione televisiva in Italia?
Direi disastroso. Non è una novità ma stiamo andando sempre peggio. Ho esaminato altrove il meccanismo con il quale l’informazione è stata manipolata nel caso della vicenda del cosiddetto “bunga bunga” (termine che detesto ma che mi è impossibile evitare); in quella circostanza il pubblico è stato sistematicamente bombardato da due versioni dei fatti equivalenti ma opposte: la prima basata sul resoconto dei magistrati, la seconda sulla negazione totale. Nell’impossibilità di un riscontro oggettivo, la gente non è stata in grado di capire la verità dei fatti. Il risultato è stato, per la maggior parte delle persone (quelle persone che non leggono giornali né libri e che si informano esclusivamente attraverso la TV) il seguente: non è successo nulla. I sondaggi di opinione lo confermano. Ecco perché sostengo chePerché in Italia si leggono così pochi giornali (preferendo l’informazione televisiva)?
in Italia non c’è nessuna libertà (sostanziale) di informazione, pur permanendo una libertà formale: di fatto, la cittadinanza non riceve alcuna informazione (pur restando convinta del contrario).
Perché noi abbiamo una storia di arretratezza culturale secolare. Anche senza voler tornare al periodo fascista, basta esaminare la storia successiva alla liberazione, dagli anni ’50 in poi, per scoprire che la classe dirigente ha sempre giocato al ribasso, non solo mantenendo il popolo nella sua condizione di credulità e di ignoranza, ma spesso approfittandone per mere questioni di potere. Fino all’arrivo dei lanzichenecchi attualmente al potere, guidati dal nostro Presidente del consiglio, che gestiscono il potere unicamente nel proprio interesse: i quali approfittano di una cittadinanza rimbambita da trent’anni di televisione fatta unicamente per istupidire le persone (operazione perfettamente riuscita). Chiamare democratica questa situazione è un’offesa alla democrazia; noi siamo già fuori dalla democrazia da lungo tempo. L’Italia è un’anomalia, una specie di laboratorio segreto (perché nessuno ne parla in questi termini), ma a cielo aperto, nel quale si studiano gli effetti della trasformazione dello spettatore televisivo in consumatore compulsivo.Quali valori ci propina la televisione, e quali invece potrebbe proporci?
La TV è una macchina tremenda, autoritaria, che impone di fatto una visione parziale spacciata per oggettiva. Trasmette idee che appaiono oggettive, e può farlo perché parla un linguaggio che in pochi conoscono. Assistiamo non ad una evoluzione umana, bensì ad una involuzione: l’homo videns (come lo chiama il politologo Giovanni Sartori) è una regressione rispetto all’homo legens (cui rimane una caacità critica che l’atrp ha perduto). L’homo videns è passivo perché subisce la lingua delle immagini in movimento illudendosi di comprenderla, mentre non è così. Siamo di fronte a una mutazione antropologica regressiva: l’homo videns è più stupido del suo predecessore, perché viene manipolato tramite una lingua che non conosce. Finché questo segreto non verrà svelato alle grandi masse popolari, il popolo rimarrà televisivamente analfabeta (e succube della manipolazione di chi fa la televisione). Illuso di vedere in TV “la realtà”: mentre la televisione è tutto fuorché realtà, tutto fuorché verità. Come accade negli Stati Uniti, e sempre più da noi, dove il 98% di ciò che si vede è irreale, è fiction, nato per l’intrattenimento. Tutt’altro che la realtà.A proposito dell’intattenimento: si dice che la TV italiana è di scarsa qualità. Ma la TV non è forse nata come intrattenimento, dove le trasmissioni di approfondimento critico sono sempre state l’eccezione?
È naturale. E tuttavia una televisione diversa, più intelligente, migliore, non sarebbe teoricamente impossibile: è solo che quelli che potrebbero far da traino in questo senso - gli intellettuali - sono spesso prezzolati o troppo stupidi per pensare a una televisione diversa da quella attuale; da loro non c’è molto da aspettarsi. Non bisogna d’altro canto illudersi che la TV sia semplicemente abbandonata a se stessa: le televisioni sono di proprietà di qualcuno, e vengono mandate avanti al fine di tutelare gli interessi del loro proprietario. Nulla è casuale: sarebbe ingenuo pensare che il proprietario di una televisione possa d’improvviso rinsavire, diventare filantropo e dedicare la propria TV all’educazione e all’informazione del prossimo. C’è poi un’altra illusione: quella della sinistra democratica, che vuol fare “controinformazione”. Si tratta di un’illusione: perché il problema della televisione non è quello della cattiva informazione; sì, certo, la menzogna fa male. Ma il problema vero e proprio è che, nel panorama complessivo della televisione, l’informazione rappresenta una fetta inferiore al 10%. Una fettina; il resto è pubblicità e intrattenimento, manipolazione e banalità. Le briciole di controinformazione non possono intaccare questo bombardamento così massiccio. Bisognerebbe fare una contro-pubblicità e un contro-intrattenimento. Il contro-intrattenimento non è difficile in linea di principio: basterebbe fare delle trasmissioni intelligenti (sono quasi tutte sparite dai palinsesti: tutti gli spettacoli di qualità, come ad esempio la musica lirica e classica, sono stati sistematicamente eliminati o relegati in orari improbabili). Non si può in nessun caso fare della contro-pubblicità, che è menzogna elevata a potenza. La pubblicità va vietata tout-court: la pubblicità, in un Paese civile, va eliminata completamente, rinchiusa in canali dedicati esclusivamente alla pubblicità e privi di ogni altra trasmissione (di informazione, intrattenimento, ecc.). O almeno confinata in spazi delimitati e ben individuabili: come il vecchio Carosello. Proprio al contrario di quanto succede oggi, in cui la pubblicità viene trasmessa ad ogni momento, addirittura nascosta, addirittura ficcata nei film (in America lo chiamano “product placement”), nei videoclip o propagandata attraverso trasmissioni scientifiche che la avallano. La pubblicità è il vero strumento della trasformazione degli spettatori in consumatori compulsivi. Deve essere eliminata.Cosa c’è di diverso rispetto al resto d’Europa? Cosa c’è di uguale?
Noi non abbiamo più nessun punto di riferimento decente. Altrove, ad esempio in Francia o in Germania, esistono delle isole che mantengono un’informazione valida e dei valori deontologici ben definiti. Quello che è peggio è che in Italia si sbandiera il pluralismo e la libertà di informazione con ostentazione: a volte qualcuno mi accusa di parlar male ingiustamente dell’informazione italiana, in quanto sono presente ogni tanto con le mie opinioni in questo o quel dibattito televisivo. È vero che c’è la possibilità di esprimere la propria opinione. Ma dedurre da questa considerazione la libertà di informazione è una grossolana dimostrazione di ignoranza, che non tiene conto di quello che altrove ho denominato “rumore di fondo”, cioè quel fenomeno per il quale si è talmente subissati da una quantità traboccante di informazione allineata, da perdere ogni sensibilità a un’opinione eterogenea e critica. È come un grido improvviso all’interno di un ronzio costante: anche se per un attimo viene percepito, viene poi subito riassorbito. Questo “rumore di fondo” in cui siamo immersi è il grande segreto della società dello spettacolo. Basti pensare alle migliaia di sollecitazioni pubblicitarie cui siamo sottoposti quotidianamente (in auto, in metropolitana, alla fermata dell’autobus, dappertutto). La nostra società si sta suicidando e lo sta facendo in questo modo; prima di arrivare a quel punto, io ritengo, diventerà la società della manipolazione totale.Un destino cui arrendersi?
Una tendenza contro cui combattere. E cui resistere, cominciando a capire la mostruosità e la pericolosità dei meccanismi della comunicazione.Come fare ad imparare il linguaggio della comunicazione televisiva? La scuola non lo insegna.
Io nemmeno proporrei l’introduzione di una specifica materia scolastica. Insisto però sull’utilità di tanti seminari ed esperimenti condotti con i bambini: i fanciulli a cui viene messa in mano una telecamera, afferrano subito che la produzione filmica è qualcosa di completamente diverso dalla realtà.Si accusa a volte questo o quel telegiornale di faziosità (e il direttore puntualmente si difende non nel merito, ma accusando di faziosità i suoi accusatori). Ma esiste un metodo oggettivo per poter discriminare tra buona e cattiva informazione, o è riducibile tutto a una mera questione di gusti?
No, no. Esistono metodi molto precisi per stabilire la bontà dell’informazione. Ed esistono agenzie che dovrebbero sovrintendere al controllo, come l’AGCOM ad esempio (che fa poco o nulla di ciò che dovrebbe fare). Orbene: se io dico una menzogna piuttosto che la verità, sono palesemente un disonesto. Se io non do una notizia notevole, sono un disonesto. Se io do una notizia importante in chiusura, sono un disonesto. L’errore può capitare a chiunque una volta. Ma un comportamento reiterato e sistematico può essere facilmente individuato. E tuttavia io nemmeno me la prendo con quei servi del potere che oggi fanno palesemente disinformazione. Io me la prendo con il temibile meccanismo televisivo generale, con quel flusso di cui l’informazione non costituisce che una piccolissima parte, vero distruttore della democrazia.Cosa eliminerebbe senza meno dalla nostra TV? Cosa inserirebbe a tutti i costi?
Eliminerei subito, senza pensarci due volte, la pubblicità. Via da tutti i programmi, in primo luogo dai programmi per ragazzi. Eliminerei poi il controllo privato dell’etere; per contro introdurrei la comunicazione radiotelevisiva come bene comune e l’informazione come diritto sacro e inalienabile di ogni uomo.(«l'Altrapagina», marzo 2011)