domenica 24 aprile 2011

Il libro nero della pubblicità


La tirannia pubblicitaria comincia con la pervasività, con l’invadenza, con l’intrusione, con la moltiplicazione ipertrofica dei messaggi; procede con l’ossessione persuasiva dei contenuti, che talvolta si traduce nell’inganno dei consumatori, nella slealtà verso i concorrenti, nella creazione di barriere all’entrata nel mercato di altri competitori favorendo l’aumento dei prezzi anziché la loro diminuzione; e ancora con l’offesa ai sentimenti, anche più nobili, e con la volgarità; dilaga con la sottomissione dei media, la cui funzione prevalente, se non a volte unica, è diventata quella di veicolare i messaggi commerciali e di convogliare verso di essi l’audience più vasta possibile; si conclude con l’imposizione di
un’ideologia che riconduce ogni valore al successo facile, al “tutto e subito”, all’avere “non importa come”.
Disfarsi della pubblicità è un compito politico. Che inizia però con il comportamento individuale

Non fa mistero della sua posizione rispetto alla pubblicità Adriano Zanacchi, giornalista RAI che ha insegnato in diverse università italiane e ha fatto parte per molti anni del Consiglio Direttivo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Nel volume intitolato Il libro nero della pubblicità. Potere e prepotenze della pubblicità sul mercato, sui media, sulla cultura (ed. Iacobelli, 2010) spiega quanto la pubblicità (in specie quella italiana) sia troppa, ingannevole, occulta, fuori luogo, corruttrice dei bambini, violenta, diseducativa: cose che non si limita ad affermare ma che illustra con una trattazione ricca di immagini, date, commenti illustri ed esperienze di prima mano. Tracciando il ritratto della pubblicità come grande menzognera, che vorrebbe ammantarsi di etica (tanto più nobile quanto più autoimposta tramite i suoi stessi organi di controllo), mentre il suo unico obiettivo è istigare all’acquisto di cose delle quali non c’è alcun bisogno.
Ma l’aspetto più grave su cui Zanacchi induce a riflettere è che la pubblicità
non si limita a forzare i comportamenti di consumo, non agisce solamente nella sfera economica, ma condiziona e orienta anche i mezzi di comunicazione e incide, più in generale, sulle idee, sul modo di pensare, sulla misura delle cose, sulla scala dei valori.
Così, tradendo ancora una volta il suo intento originario, la pubblicità non rende l’uomo più libero di scegliere, bensì più schiavo di una visione del mondo che gli impone il “dovere di consumare”, oltre a mille nuovi conformismi in bilico tra il “be stupid” (Diesel) e il “be intelligent” (Piazza Italia).
Della pubblicità abbiamo parlato altre volte (anche se non è mai abbastanza). Forse dovremmo cominciare a parlare di come venirne fuori (dato che viviamo praticamente immersi nella pubblicità: è stato calcolato che ciascuno di noi, cittadini del mondo occidentale, riceva quotidianamente circa 7.500 sollecitazioni pubblicitarie - cioè 1 spot ogni 11,5 secondi!). Spegnendo la TV, certo, o almeno cambiando canale - soprattutto quando la vedono i bambini. Ma anche installando il plug-in AdBlock Plus nel nostro browser internet Mozilla Firefox (il plug-in permette di bloccare i riquadri grafici contenenti la pubblicità, aumentando di conseguenza anche la velocità di navigazione). Infine, diffidando di quelli che - con la scusa della cultura - vi propinano recensioni per pubblicizzare libri. Statene alla larga. Sono i peggiori.

(«Il Caffè», 22 aprile 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano