mercoledì 23 marzo 2011

L. Cerrocchi e A. Contini (a cura di), Culture migranti, ed. Erickson, 2011

Culture migranti
Mai come oggi siamo stati consapevoli del fatto che esistono diverse culture. La categoria della pluralità ha sostituito quella dell’unicità: non crediamo più che vi sia una sola cultura, appannaggio dell’Occidente civilizzato, cui “convertire” progressivamente popoli ancora barbari o primitivi.
Si apre così il ponderoso e ricco volume Culture migranti, curato da Laura Cerrocchi e Annamaria Contini (ed. Erickson, 2011). Affermazione incontestabile, che ci mette di fronte allo scollamento tra le nostre teorie e le nostre prassi: proprio mentre ce lo ripetiamo, infatti, continuiamo ad esportare in ogni dove le nostre democrazie e i nostri capitalismi, più o meno con la
stessa retorica del colonialismo degli anni ‘20 (allora dicevamo che gli altri avevano bisogno di noi perché erano inferiori; oggi non diciamo più che loro sono inferiori, ma che noi siamo superiori - e il nostro grado di sviluppo economico-tecnico-scientifico ne è la prova).
Al contempo, il libro ci pone di fronte all’evidenza e ci impone una presa di consapevolezza: non possiamo più rifiutare né rimandare l’incontro interculturale, perché il “diverso” abita sul nostro stesso pianerottolo, lavora accanto alla nostra scrivania, è in fila insieme a noi dal dentista o alla fermata dell’autobus. E, se questo incontro ancora ci spaventa, è anche perché non siamo adeguatamente formati a trattare le categorie della pluralità e della relazione: l’altro non va né isolato né omologato a noi, ma trattato con la delicatezza e l’interesse di una conoscenza da approfondire (e che riserva certo tante sorprese - anche disorientanti). Sottolineando che diffidenza e timori sono spesso basati più sul fraintendimento e il luogo comune che sull’esperienza o dati di fatto. Caso tipico è quello della “purezza” (della razza, delle tradizioni, dell’identità): idea astratta che misconosce la realtà, in primo luogo storica, in cui le culture dei popoli si sono formate. Perché nella storia la regola di ogni formazione culturale è il meticciato:
le culture non sono entità statiche, ben delimitate fra loro e omogenee al loro interno, quanto piuttosto fenomani plurali e in perenne movimento, attraversati da continue tensioni, relazioni e scambi reciproci.
Un esempio per tutti: i numeri su cui si basa la nostra tanto (giustamente) decantata scienza moderna occidentale (di quell’Occidente dello “scontro di civiltà” con l’Islam), elemento su cui vorremmo basare ogni successiva distinzione, ebbene quei numeri... si chiamano “numeri arabi”. E il perché lo conosciamo bene.
Il volume - basato su una bibliografia imponente e variegata - si giova di numerosi contributi scientifici di spessore dedicati a diversi argomenti (intercultura e pedagogia; métissage, ibridazione culturale, l’esperienza del Centro di ascolto Caritas di Reggio Emilia, l’educazione in Cina, India, Giappone, Etiopia, Romania). Rivolto ai professionisti che operano nelle agenzie del sistema formativo o nella rete dei servizi alla persona (pedagogisti, insegnanti, formatori, assistenti sociali).

(«Flanerì», 23 marzo 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano