Una famiglia su 3 risparmia sul cibo (indagine ISTAT). Un bambino su 4 a rischio povertà (dossier Eurispes e Telefono Azzurro). In calo il reddito delle famiglie: ai minimi dal 1999, in calo anche la propensione al risparmio (ISTAT). Senza lavoro quasi un giovane su 3, tasso più elevato dal 2004 (ISTAT). Otto milioni di poveri; 2 milioni di famiglie povere (ISTAT). In peggioramento le condizioni degli operai (ISTAT). Una famiglia su 4 non può permettersi il medico (SVIMEZ). Inutile dire che il record dell’indebitamento delle famiglie è di Caserta, cresciuto in 8 anni del 137,4%.
È la fotografia dell’Italia “dal basso” scattata nella prima metà del mese di luglio 2010. Negli stessi giorni, si leggevano queste altre notizie, riguardanti l’Italia “dall’alto”: l’economia italiana è fuori dalla recessione (Confindustria); l’Italia cresce più del previsto, 0,9% (FMI). E via discorrendo.
Aumenta il PIL ma non l’occupazione. Siamo nel bel mezzo di un’economia d’élite, per pochi
Insomma, l’Italia va meglio, ma anche peggio. Il PIL cresce, ma l’occupazione no. La ricchezza complessiva aumenta, ma quella delle fasce più deboli diminuisce. Che vuol dire?
Vuol dire che l’economia del nostro Paese (che poi è quella capitalistica - o meglio liberistica - globale) fa aumentare la ricchezza dei ricchi a scapito dei poveri. Non è retorica. Le cifre lo indicano: stiamo forse meglio dei nostri nonni, ma certamente peggio dei nostri genitori. Al TG si ride e si scherza sul fatto che i nonni mantengano (spesso in parte, a volte del tutto) interi nuclei familiari, con tanto di figli e nipoti. Che non hanno, questi ultimi, non dico la possibilità, ma nemmeno la prospettiva di potersi fare una loro famiglia che saranno poi in grado di mantenere. Li si chiama a volte “bamboccioni” come per dire che è colpa loro. Che hanno una specie di difetto di carattere, una immaturità, senza la quale sarebbero ricchi prosperi e gaudenti come quei giovani della pubblicità, sempre alla guida di macchine sportive e in compagnia di donne avvenenti.
Ma restiamo ai fatti, e proviamo a dare una piccola conclusione in tema con il titolo del pezzo: questa economia è un’economia dove si cresce “a spuntoni”, qualcuno diventa più grande (e sono in pochi), qualcun altro diventa più piccolo (e sono in tanti). Qualcuno riesce a scalare la parete della montagna, mettendo il piede accuratamente sul gradino di roccia, qualcun altro no. Fin qui sarebbe la retorica del capitalismo delle origini: chi merita, evolve; bisogna essere dei vincenti, ecc. Ma il fatto è che - diventa sempre più evidente - questa economia non è solo eterogenea nella distribuzione della ricchezza: essa è un sistema nel quale ci si arricchisce a spese degli altri. Il gradino di roccia su cui si poggia il piede è la testa dell’altro; il quale, infatti, non resta fermo, ma sprofonda sempre di più.
L’economia come la vedo io non è così. È un meccanismo tramite il quale si cresce, magari un po’ più o un po’ meno, tutti insieme. In cui si tira la cinghia tutti insieme, o si festeggia la domenica con le paste. Tutti insieme. Già, proprio come una famiglia.
(«Il Caffè», 17 febbraio 2011)