domenica 13 febbraio 2011

In caduta libera

C’era un film degli anni ‘90 che si apriva e si chiudeva con una voce fuori campo che recitava questa storiella: «c’è una ragazza che cade da un grattacielo di 100 piani e ad ogni piano si ripete “non è niente, ce n’è ancora uno”. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio».
Era L’odio di Mathieu Kassovitz. Che mi torna in mente proprio oggi leggendo la notizia che in Italia ci sono 8.000.000 di poveri. Ottomilioni. In Italia. Non nello sventurato Bangladesh o nell’“arretrato” Burkina Faso. In Italia. Cioè nel Paese in cui il governo un giorno dice che non c’è nessuna crisi economica e il giorno dopo dice che ne siamo appena usciti. Qui, 1 persona su 7 è povera. Per chi ha bambini a scuola in una classe di almeno 20 alunni, il calcolo è presto fatto: 3 sono poveri.
Roba da capogiro.

In un mondo giusto, perfino la povertà può esser tollerata; ma in un mondo ingiusto, neanche la ricchezza è sufficiente. La povertà non è una questione economica, ma di giustizia.
Rapporto Caritas 2010 su povertà ed esclusione in Italia (ed. il Mulino)

È l’incredibile verità che ci mette sotto agli occhi il rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia, a cura della Caritas italiana e della Fondazione «E. Zancan», dal titolo In caduta libera (ed. il Mulino). Che unisce nel titolo i due termini “povertà” ed “esclusione”, per evidenziare che
il fenomeno della povertà non si esaurisce nella privazione di beni materiali e di servizi sociali, ma comporta anche, di fatto, un’esclusione dei poveri dalla partecipazione attiva alla vita del Paese.
Dunque, non solo i poveri sono poveri, ma non possono nemmeno partecipare alla vita sociale: i poveri non hanno voce sui giornali, non hanno rappresentanti in Parlamento, non hanno mezzi economici né intellettuali per orientare le loro coscienze verso un’azione collettiva. Per questo stesso motivo, sono destinati a rimanere poveri per sempre.
Ma l’aspetto se possibile ancora più triste della situazione è la sua ingiustizia: «in un mondo giusto, perfino la povertà può esser tollerata; ma in un mondo ingiusto, neanche la ricchezza è sufficiente. La povertà non è una questione economica, ma di giustizia». Il rapporto della Caritas non lascia dubbi al riguardo: perché non è vero - e lo sappiamo bene - che i poveri sono tali perché non c’è ricchezza a sufficienza per tutti; è vero al contrario che i ricchi diventano sempre più ricchi. È solo in quest’ottica complessiva che si può comprendere il problema: non si può capire adeguatamente la povertà se non si capisce la ricchezza. È il monito dell’economista americana Susan George, la quale ci invita, dopo aver studiato per secoli i poveri - a studiare i ricchi, il loro modo di pensare e di determinare l’andamento del mondo. A entrare nei meccanismi di quel “partito di Davos” (cfr. “Essi vivono”, «Il Caffè», 6 novembre 2009) che gestisce la finanza (e con essa le sorti) dell’intero pianeta. Compresa l’Italia.
Se siamo davvero in caduta libera, come sostiene il rapporto 2010 della Caritas, lo scopriremo a suo tempo (e allora avverrà nel peggiore dei modi). Comunque sia, non riesco a sganciarmi da questo ritornello: “c’è una società che precipita da un grattacielo. Il problema non è la caduta. È l’atterraggio”.

(«Il Caffè», 11 febbraio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano