lunedì 10 gennaio 2011

Emergenza rifiuti a Napoli. Intervista ad Alex Zanotelli

Intervistiamo Alex Zanotelli sulla questione dei rifiuti a Napoli mentre è in procinto di partire per la conferenza internazionale di Cancun sull’emergenza climatica. Padre Alex, missionario comboniano, per molti anni direttore di «Nigrizia» e autore di diversi libri (con «l’Altrapagina» ha pubblicato Il ritorno della guerra), si trova oggi presso i Comboniani di Casavatore, in provincia di Napoli: osservatorio privilegiato delle cicliche “emergenze rifiuti”.

Possiamo dire che l’emergenza rifiuti a Napoli sia un caso unico in Occidente? A che si deve questa particolarità?
In verità io sostengo proprio l’opposto, dico cioè che non si tratta di un caso singolare, bensì di un fenomeno presente qui per la prima volta e in maniera eclatante, ma che riguarda tutti. Inhtendo dire che se non ci accorgiamo che non possiamo più andare avanti nel vivere come stiamo vivendo, noi occidentali moriremo tutti sotto il peso dei nostri stessi rifiuti. E pare che ancora non ce ne rendiamo conto: in questi due anni appena trascorsi, dall’ultima crisi ad oggi,
non c’è stata nessuna evoluzione nella gestione dei rifiuti. È simbolicamente pregnante che questa crisi avvenga proprio adesso, mentre prende il via la conferenza internazionale di Cancun sul surriscaldamento del pianeta e sullo stile di vita dell’umanità. Se un miliardo di esseri umani crea questa situazione a causa del modo in cui vive, produce, consuma, la vita diventerà impossibile quando tutti e 6 miliardi di uomini vivranno allo stesso modo. Ecco perché la crisi di Napoli è solo la punta dell’iceberg, un campanello d’allarme per tutti: su questa strada, precipiteremo tutti nel baratro dell’insostenibilità ambientale. In questo senso Napoli non ha nessuna peculiarità. Allora perché proprio Napoli? Semplicemente perché a Napoli c’è stata una gestione dei rifiuti - da parte dei Commissari straordinari, non eletti dal popolo ma dai governi nazionali - obbedienti ai dettami dei potentati economici e finanziari, la quale ha portato avanti una strategia industriale di smaltimento, basata sull’incenerimento e sullo sversamento in discarica, senza alcuna prospettiva di riciclaggio, riutilizzo, reimpiego né tanto meno di riduzione dei consumi, degli imballaggi, degli sprechi. Noi diciamo che l’unica maniera radicale e duratura di risolvere il problema non è affatto la formula “dodici megadiscariche più quattro inceneritori”, bensì una strategia collettiva fondata sul riciclaggio, che comprenda la consegna dell’umido all’agricoltura e la restituzione del secco all’industria. L’obiettivo è “rifiuti-zero”, ed è possibile conseguirlo.

Ma è possibile conciliare tutta questa organizzazione per il riciclaggio e lo smaltimento con uno stile di vita che segua una crescita economica infinita?
Il problema è proprio questo, mentre i nostri politici non fanno altro che continuare a gridare alla crescita. Ma - lo ribadisco - se l’unico nostro parametro rimane il PIL, credo che moriremo tutti. Di economia. Dobbiamo cominciare a capire che è necessario individuare un’altra maniera di vivere, un altro stile di vita che non sia basato sulla crescita. Penso che ormai moltissimi studi economici e scientifici ci mostrino che l’alternativa è necessaria ed anche che è possibile: si tratta soltanto di avere il coraggio di imboccarne la via. Va da sé che i politici non potranno prendere decisioni efficaci in tal senso finché rimarranno prigionieri dei potentati economico-finanziari.

In Occidente separiamo tanti rifiuti speciali - tra cui i cosiddetti RAEE (materiale elettrico ed elettronico). Ma questi rifiuti non vengono affatto trattati debitamente, bensì sversati selvaggiamente sulle coste di paesi come la Nigeria.
Sembra incredibile, eppure è così. Vorrei tuttavia riportare anche una notizia positiva: l’azienda multinazionale Xerox sta mettendo in atto una grande operazione di recupero dei materiali obsoleti, ritirando tutti i propri prodotti in disuso e riutilizzandone il materiale; la Xerox comunica di star guadagnando in tal modo circa 30 milioni di dollari all’anno in più. Ciò vuol dire che fare un’opera di riciclaggio esaustiva è non solo possibile, ma anche conveniente: tutto sta nell’organizzarsi in tal senso. E invece noi andiamo a scaricare nel Sud del mondo i nostri rifiuti speciali - non è solo la Nigeria a farne le spese, ma ad esempio anche il Ghana, che ospita una discarica terribile per la vastità del disastro - trattando in un certo senso l’Africa come Napoli è stata trattata per oltre vent’anni, cioè come sversatoio dei rifiuti tossici. Su questa strada non c’è futuro.

Latouche scrive che la descrescita economica richiede una conversione dell’uomo paragonabile a una metanoia spirituale. Cosa ne pensa?
Latouche ha perfettamente ragione. A questo livello non potremo fare nessun passo in avanti se non c’è un salto - direi - di qualità umana. Possiamo parlare di spiritualità, come potremmo parlare di “umanizzazione”: ma se l’uomo vuol veramente sopravvivere, deve necessariamente fare un salto di qualità. Che dovrà per forza sgorgare da una conversione spirituale. Ecco perché ritengo che tutte le Chiese, tutte le religioni, giochino in questo momento un ruolo decisivo nella questione della vita e del modo di vivere dell’uomo. Ci raccontano continuamente che le religioni non contano nulla, mentre le cose in realtà stanno all’opposto: le religioni contano eccome, perché sono loro a toccare il cuore e la coscienza degli uomini. Riconosco purtroppo che spesso, anche nella Chiesa, viviamo una perniciosa schizofrenia tra la fede e l’impegno concreto. Ma i propositi umani per la vita nel mondo non possono essere diversi da quelli che si coltivano nel raccoglimento del tempio. Ritrovare l’unità di corpo e spirito, al livello personale, e ritrovare l’unità tra le religioni è ormai una necessità e un’urgenza di questo tempo, in cui l’umanità rischia di essere sommersa dai rifiuti: espressione che diventa sempre meno metaforica e sempre più tangibile, vicina, inquietante.

(«l'Altrapagina», dicembre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano