sabato 21 gennaio 2012
AA.VV., Percezioni, ed. L'Aperia, 2007
Qualche sera fa sono stato in compagnia di un detective alla ricerca di un lavoro. Era teso, in attesa, concentrato sul pensiero del cliente che avrebbe dovuto incontrare. Neanche poteva immaginare che di lì a poco gli sarebbe capitato fra i piedi - è il caso di dirlo - una novità che gli avrebbe cambiato la giornata. E la carriera. Forse la vita. In verità, in quel momento, non lo sapevo neanche io.
La notte l’ho passata nella corsia dell’ospedale in cui un amico, Fabio, vittima di un incidente stradale, stava per essere operato. Tra i parenti, i conoscenti, il tentativo di placare l’angoscia tramite le solite domande tecniche, fintamente asettiche, sulla dinamica, le cause, le prospettive.
All’alba mi sono perduto in ricordi e divagazioni fra l’assonnato e l’onirico. Mi tornava in mente Marina Cvetaeva, poetessa considerata da Pasternak una delle voci più elevate della poesia russa, ma ignorata dalla sua epoca.
Per la strada mi ha invece colpito un’immagine tutt’affatto diversa: due donne - due ragazze, lo ammetto - che ascoltavano musica da un walkman, dalle stesse cuffie; istantanea di una dolcezza squisita, nella luce ancora semibuia del primo mattino, ma inequivocabilmente stimolante, anche sotto il profilo sensuale. Poi il pensiero corre - a quell’età potrebbero essere figlie mie - d’improvviso le inquadro zoomando nella cornice dell’adolescenza, dietro di me arriva corrucciato a darmi uno scapaccione il padre di due bambini che io sono. Mi ridesto, guardo altrove, forse sta per cominciare un nuovo giorno. Forse è l’ora. O forse è l’ora di essere sinceri. Fino in fondo.
Perché la verità è che non sono stato davvero lì, in quelle ore, in quei luoghi; non ho visto quelle cose, né incontrato quelle persone. Mi ci sono imbattuto, questo sì, leggendo Percezioni (ed. L’Aperia, 2007), i cui racconti mi hanno narrato queste storie e anche altre, scritte da Pina Napolitano, Laura Matarese, Stefania Napolitano e Sergio Ciarone. Detto così, sembra forse tutto più semplice. Ma non più vero. Perché la verità è che, per un paio d’ore d’una sera d’autunno, sono veramente stato lì, con loro, per quelle strade e in quelle stanze. Ed era bellissimo.
(«Pagina3», 21 gennaio 2012)
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