sabato 30 ottobre 2010

Sulla menzogna politica

«Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico e continuo». Il “giorno d’oggi” dal quale Alexandre Koyré scrive queste parole, in apertura del saggio Sulla menzogna politica (ed. Lindau, 2010), è un giorno del 1943. E la menzogna politica della quale parla, chiamandola “moderna”, è quella dei totalitarismi dell’epoca.
I quali, secondo Koyré, avrebbero apportato alla menzogna classica una unica ma fondamentale novità: dalla menzogna che un uomo dice all’altro si sarebbe passati a quella che un uomo (o un partito, un apparato propagandistico) dice alla massa. Così, da questa piccola differenza (perché in fin dei conti la menzogna non è una novità, c’è sempre stata, fin da quando esiste il linguaggio - cioè l’uomo - è sempre stata la “moneta corrente del mondo” - per dirla con il Mike Nichols di Closer) scaturisce un gigantesco sovvertimento: la menzogna non è più una crepa all’interno di una verità che tutto riempie; al contrario, «nei regimi totalitari, la menzogna è fabbricata in serie; essi si fondano sul primato della menzogna».

Il pensiero è cosa rarissima nel mondo, riservata all’élite; la massa è spinta dall’istinto, dalla passione, dai sentimenti e dai risentimenti. Essa sa - e vuole - solo obbedire e credere.
Alexandre Koyré, Sulla menzogna politica (ed. Lindau, 2010)

Un libro scritto quasi 70 anni prima di noi; un regime politico (quello totalitario) agli antipodi della nostra democrazia. Perché leggerlo oggi, nell’Italia del 2010? Forse perché tutti sappiamo bene che altro è la definizione che diamo di “democrazia”, altro ciò che ne pratichiamo; forse perché sappiamo che le nostre democrazie sono intrise di servizi segreti, ossessione per la sicurezza, gli interessi della nazione (cui subordinare tutto il resto).
Forse perché osserviamo tutti i giorni quanto sia inadeguatamente ottimistico il convincimento finale di Koyré, che attribuisce la menzogna politica soltanto ai totalitarismi, negandola alla democrazia (le cui masse sarebbero più mature, refrattarie alla propaganda). Forse perché vediamo tutti i giorni le nostre democrazie all’opera per nascondere/deformare/confondere la verità: così il TG1 non dà la notizia della ormai comunque celebre barzelletta con bestemmia di Berlusconi; così nei liberalissimi Stati Uniti d’America il Dipartimento di Stato acquista tutte le copie in commercio (9.500) del libro Operazione Cuore Nero di Anthony Shaffer per bruciarle (al fine di tutelare la sicurezza nazionale); così si celano, si tacciono, si alterano le cifre relative alla radioattività del nucleare civile e alle sue conseguenze sulla salute (argomento che mi riprometto di approfondire un’altra volta).
Perché la verità è che la massa è “massa” dovunque. Sempre. Cambiano i regimi (e con essi gli strumenti a disposizione della massa), ma la massa non cambia. La verità è che «il pensiero è cosa rarissima nel mondo, riservata all’élite; la massa è spinta dall’istinto, dalla passione, dai sentimenti e dai risentimenti. Essa sa - e vuole - solo obbedire e credere. Inutile cercare di evitare la contraddizione: la massa non se ne accorge. Inutile avere a cuore la coerenza: la massa non ha memoria». Questa, purtroppo, non è soltanto la base dell’antropologia totalitaria, come credeva Koyré, ma l’ABC di ogni governo odierno, autoritario o democratico che sia. A pagina 1 di ogni “manuale del primo ministro del terzo millennio” c’è la menzogna politica per la massa.

(«Il Caffè», 29 ottobre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano