venerdì 17 settembre 2010

Guerra di nervi. Intervista a Bijan Zarmandili

Bijan Zarmandili, iraniano, è giornalista del gruppo Espresso-Repubblica e scrittore. Ha pubblicato: La grande casa di Monirrieh (ed. Feltrinelli, 2004); L’estate è crudele (ed. Feltrinelli, 2007); Il cuore del nemico (ed. Cooper, 2009).

Come si innesta l’Iran nel quadro politico mediorientale? È un fattore di equilibrio, o piuttosto di squilibrio?
È senz’altro un fattore di squilibrio, in un certo senso, in primo luogo perché le ambizioni nucleari dell’Iran sollecitano l’intera regione alla proliferazione delle armi atomiche - nonostante l’Iran sia stato uno dei primi firmatari degli accordi di non proliferazione nucleare e dichiari di non avere intenzione di trasformare il suo nucleare civile in militare; il solo fatto che l’Iran possa avere l’energia nucleare già innesca un meccanismo di destabilizzazione della regione. Oltre a ciò, bisognerebbe tener conto del fatto che l’Iran, essendo una potenza regionale, ha di fatto delle influenze importanti su diversi Paesi della regione, a comincviare dall’Iraq: sono noti i rapporti tra la maggiornaza sciita irachena e la repubblica islamica, e ancor più gravi sono i rapporti che l’Iran mantiene con gli Hezbollah libanesi e con i palestinesi di Hamas. Sono tutti fattori che - al di là di ogni giudizio di merito - di fatto destabilizzano gli equilibri già precari della regione mediorientale.

Come sono le relazioni diplomatiche internazionali dell’Iran, soprattutto con i due più recenti e convinti partner, la Turchia e il Brasile?
A causa delle sue ambizioni nucleari, l’Iran è un Paese complessivamente abbastanza isolato nel mondo, soprattutto nei confronti dei Paesi occidentali: ciò costituisce uno svantaggio, in particolare sul piano tecnologico e del commercio. Sul piano politico, accade che Paesi che hanno in qualche modo l’ambizione a loro volta di svolgere un ruolo di potenza mondiale (Cina, Russia, ultimamente anche il Brasile) abbiano nei confronti dell’Iran una politica peculiare, volta a colmare i vuoti politici tra l’Iran e l’Occidente. Un caso a sé è quello della Turchia: ultimamente essa ha un ruolo molto attivo im Medioriente nell’ambito della questione palestinese e del mondo arabo. Il fatto che la Turchia abbia un tale interesse la rende un Paese “amico” degli Stati Uniti (ma non troppo: almeno così viene valutato il suo atteggiamento dai dirigenti iraniani, che lo leggono in senso positivo); al contempo, è evidente che una Turchia maggiormente attiva nella regione non possa non essere rivale dell’Iran in quella zona. Concludendo: i rapporti tra i due in questa fase sono complessivamente positivi, ma hanno difficoltà ad evolversi perché la Turchia vuole essere leader nel Medioriente, proprio come l’Iran.

Che ruolo ha la Russia? Vota contro il nucleare iraniano, ma la Rosatom avvia il programma atomico della centrale di Busherh (inaugurata il 21 agosto 2010).
La Russia non fa eccezione alla descrizione precedente: anch’essa cerca di sfruttare contraddizioni e lacune, avvantaggiandosene. Nello stesso tempo, ha un enorme interesse alla cooperazione con gli Stati Uniti e quindi con l’Occidente. In pratica, ciò conduce a una politica ambigua nei confronti dell’Iran: la costruzione della centrale nucleare di Busherh è un po’ il simbolo di questa ambiguità. Va tuttavia precisato che la centrale di Busherh è stata progettata e realizzata, nel corso degli ultimi 15 anni (la collaborazione con Rosatom è iniziata nel 1995), con l’approvazione dell’ONU e sotto il controllo costante dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA): con Busherh non si apre un nuovo contenzioso sostanziale: quello che cambia è che di fatto si apre una nuova preoccupazione, perché l’Iran riesce finalmente a raggiungere i suoi obiettivi nucleari. Da una parte la Russia trae vantaggio dal fatto che l’Iran porti avanti un certo scontro con l’America (ciò in qualche modo permette all’Iran di chiudere alcuni spazi di influenza americana nella regione, dove invece la Russia vuole entrare); allo stesso tempo, teme che l’Iran possa diventare troppo forte, fino a diventare un protagonista pericoloso degli equilibri mediorientali. da cui l’ambiguità della sua politica nei confronti dell’Iran.

Che possibilità ci sono di uno scontro militare diretto con Israele e gli USA?
In buona parte si tratta di qualcosa di imprevedibile, anche se credo che al momento restiamo nella fase dei “fuochi d’artificio”, delle minacce e della lotta psicologica, che difficilmente può trasformarsi (almeno a breve) nella realtà drammatica di un conflitto armato (in cui Israele possa attaccare l’Iran). Israele si rende conto che attaccando l’Iran destabilizzerebbe l’intera regione; la “buona volontà” mostrata nel sedersi a un tavolo negoziale con i palestinesi per un anno insieme a Stati Uniti, UE e ONU, mostra indirettamente proprio questa consapevolezza. Ho l’impressione che le minacce reciproche rimangano confinate nell’ambito di una guerra dei nervi al livello diplomatico e politico. D’altro canto, la guerra è sempre qualcosa di ampiamete imprevedibile. Spero che tutti si rendano conto della gravità che potrebbe assumere un’azione militare contro l’Iran.

Quindi gli annunci dell’Iran della costruzione di droni da combattimento e di cacciabombardieri armati di missili va letta come propaganda, e non come una dichiarazione d’intenti?
Se l’Iran ha l’ambizione di diventare una potenza regionale, non può restare indifferente alla realtà di fatto della presenza in quella regione di almeno tre potenze nucleari: Pakistan India e Israele. Certamente l’Iran sa di dover affrontare una situazione di tensione continua e in questo ha bisogno anche di alzare la voce e quindi di costruire nuove armi; tuttavia, poiché si tratta di “armi difensive”, la logica non è né più né meno che quella consuetudinaria nei rapporti internazionali. Alcune indiscrezioni suggerirebbero d’altro canto che l’Iran abbia intenzione di fabbricare anche armi offensive, non solo nucleari; questo cambierebbe decisamente le cose. Come dicevo all’inizio, l’Iran resta da molti punti di vista un fattore di squilibrio in Medioriente; resta da vedere se non ci sia qualcuno già intenzionato a sfruttare questa situazione di equilibrio precario, penso soprattutto ad alcuni Paesi arabi come l’Arabia saudita, l’Egitto e la Giordania, che preferiscono che l’Iran mantenga uno scontro aperto con l’Occidente.

L’ONU è contro il nucleare iraniano. Perché? Veramente esistono Paesi al mondo che “non se lo meritano”?
Il problema non è tanto il merito. Come dicevo prima, l’Iran è stato tra i primi firmatari del trattato di non proliferazione, e per ora non c’è nessun segnale esplicito che l’Iran desideri produrre armi nucleari. Gli stessi americani (Obama per primo) affermano che i tempi sono molto prematuri perché ci sia una svolta in tal senso: l’Iran avrà bisogno di uno, due, forse cinque anni per arrivare ad arricchiare l’uranio a sufficienza per caricare delle armi. Il problema è soprattutto politico: tutto quello che Teheran sta facendo è cercare di farsi accettare, è giungere a poter trattare sul piano internazionale partendo da una posizione di forza (che può avere solo un Paese nucleare). L’ONU e gli Stati uniti non vogliono che questo accada perché temono che subito dopo tutti gli altri affaccino analoghe pretese nucleari: la Turchia, l’Arabia saudita, l’Egitto. Una regione così sarebbe ancor meno governabile. E pericolosa. In sintesi credo che la preoccupazione del nucleare iraniano sia di natura prevalentemente politica, anziché militare.

Il programma nucleare iraniano è pericoloso per il Golfo? E per l’Europa? Chi ne trarrebbe vantaggio: il popolo iraniano, o piuttosto l’esercito?
Un Paese nucleare in più è sempre una preoccupazione internazionale in più, soprattutto per chi è più vicino (ma non di meno per gli altri, in primo luogo Cina e Russia). Chi trarrà vantaggio dal nucleare iraniano? Dipenderà dalla natura dei progetti iraniani: il nucleare civile può essere utile per il popolo, non altrettanto una futura applicazione militare (offensiva, verso la quale potrebbero spingere settori influenti del regime come quelli nazionalisti e militaristi). D’altro canto, il costo el nucleare è elevato, e la gente oggi non vede di buon occhio i cospicui investimenti necessari al nucleare civile, di fronte a una crisi economica profonda, con altissimi tassi di disoccupazione e di inflazione.

Del movimento democratico non si sente più parlare. Si è dissolto, o è stato messo a tacere?
Certamente è stato messo a tacere con la repressione barbara e inaudita dell’ultimo anno, difficilmente sopportabile da qualsiasi tipo di opposizione. Ciò però non implica che l’opposizione sia morta. Bisognerebbe tener conto di quanto dicevamo prima: l’Iran attraversa una grossa crisi economica; l’opposizione democratica potrebbe trovare nuova linfa da una saldatura con il fronte dello scontento economico, quello dei lavoratori che non ricevono lo stipendio da mesi, quello dei disoccupati e tutti quelli che ritengono che il governo stia concentrando energie e risorse sullo scacchiere internazionale a scapito della politica interna e dello sviluppo. C’è stato uno sciopero di alcuni giorni nel bazar di Teheran, il cuore economico del Paese: è un segnale fortissimo di malcontento. Dalla saldatura tra questi due fronti (saldatura che è possibile) potrebbe scaturire perfino una svolta nel governo dell’Iran.

Come commenta la situazione di Sakied Mohammadi Ashtiani, la donna 43enne condannata alla lapidazione per adulterio?
Questo è un altro segnale di un Paese che ha delle leggi e dei comportamenti tragici nei confronti della propria popolazione; il regime ha bisogno di ostentare indifferenza verso qualsiasi opposizione, critica o devianza, interna o esterna. Ma contemporaneamente, come si è visto, certe sfide si trasformano anche in grandi movimenti di opinione a livello internazionale.

Perché ci sentiamo minacciati dall’Iran? Abbiamo davvero ragione di temere il fondamentalismo e la guasconeria di Ahmadinejad? “Teocrazia” deve per forza automaticamente significare “Stato canaglia”?
Qui c’è un equivoco: Ahmadinejad non rappresenta il fondamentalismo religioso (al più lo cavalca), bensì il militarismo, che è ben più pericoloso e preoccupante. Addirittura per molti aspetti anche recentemente il governo è in netto contrasto con la gerarchia sciita del Paese. L’Iran ha subito una trasformazione, le gerarchie sciite hanno dovuto cedere alla nuova casta dei pasdaran, dei militaristi. Ecco il pericolo: questo regime, con queste caratteristiche, ha bisogno di un supporto ideologico e lo trova nel khomeinismo “prima maniera”. Ma il problema è quello militare.

(«l'Altrapagina», settembre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano