lunedì 7 giugno 2010

Pirateria somala e coscienza occidentale


Quando si affrontano questioni che hanno a che fare con il bene e il male, bisogna avere la coscienza a posto. Non possiamo imporre agli altri le nostre regole, quando siamo i primi a non rispettarle.
Questo articolo risponde a quello di Oceanus Atlanticus del 5 giugno 2010 dal titolo "Pirateria marittima, quando è troppo è troppo", e si basa fondamentalmente sull’intervista a Maurizio Torrealta, caporedattore della sezione "Inchieste" di RaiNews24, del 19 maggio 2009, da me condotta, dal titolo "Pirati fai da te".
Partiamo da una considerazione: è giusto dire, come fa l’autore, che la pirateria somala è soprattutto un attentato all’economia, cui si aggiungono le istanze non trascurabili del rischio per gli equipaggi e del rischio di devastazione ecologica (si pensi che in non pochi casi le navi prese di mira sono petroliere). In questo senso, il fenomeno è certamente una "piaga da debellare".
Non va però dimenticato l’altro lato della questione: che cioè la cosiddetta "pirateria" è un fenomeno legato all’Occidente, che nasce come reazione a un certo comportamento che l’Occidente ha tenuto e continua a tenere nei confronti di quella terra e di quel popolo.
Perché questi non sono "pirati", ma miliziani. Sono somali organizzati militarmente per intercettare le navi che entrano nello spazio marittimo della Somalia e di norma non uccidono. Non sono avventurieri. Il loro intento non è evidentemente né l’arricchimento fine a se stesso né quello di finanziare il terrorismo internazionale (ciò che li porterebbe a sconfinare ben oltre le loro acque); più probabilmente essi cercano di riprendere il controllo della terra, della costa, del mare che gli appartiene perché vi sono nati. E che per decenni (per non dire secoli) è stato sfruttato da altri popoli (in specie europei) che hanno pescato indiscriminatamente a strascico in quelle acque depauperandoli di una primaria fonte di sostentamento; ma che, più recentemente, ha approfittato della povertà e della cronica instabilità politica della Somalia per sversare illecitamente rifiuti tossici (nucleari) sia in mare (lo tsunami del 2004 ha portato a galla bidoni contenenti uranio, piombo, cadmio, mercurio ed altro materiale radioattivo; ciò ha spiegato le strane patologie di cui soffre la gente delle costa, rimaste fino a quel momento inspiegabili) sia in terra (al chilometro 140 della strada Garowee Bosaso, a Mogadiscio, la strada cioè dove passarono Ilaria Alpi e Miran Hrovatin durante il loro ultimo viaggio in Somalia e dove effettuarono lunghe riprese prima di venire uccisi, sono stati rilevati con un magnetometro la presenza di metalli interrati, presumibilmente fusti contenenti rifiuti tossici).
Insomma, questi miliziani di mare non fanno nient’altro che rivendicare il diritto di comandare in casa loro (anche se lo fanno con i metodi della criminalità organizzata). Sono stufi di subire i soprusi di una civiltà (quella, appunto, occidentale), che li tratta come una pattumiera in cui gettare spazzatura a 3 dollari alla tonnellata (invece di farlo in Europa, nel rispetto delle norme comunitarie, a 1000 dollari alla tonnellata). Civiltà che prospera nella violazione sistematica del diritto internazionale, ma che è solerte nello sventolarlo quando si tratta dei "danni all’economia".
I danni sono reali, ma le cose hanno un perché. Soprattutto, quando si vuol fare i paladini della giustizia, bisogna avere la coscienza a posto. E noi europei, purtroppo, non ce l’abbiamo.

(«AgoraVox», 7 giugno 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano