giovedì 13 maggio 2010

Vita e Parola. Intervista a Paulo Barone

"Mi era stato chiesto in più occasioni di elaborare una sintesi del mio pensiero, di pubblicare, cioè, un testo che potesse intitolarsi La mia opera. Mi sono reso conto che in effetti il lavoro l'avevo già fatto, avendo preparato in questi ultimi anni le introduzioni ai vari volumi dell'Opera Omnia". Così Raimon Panikkar apre il suo Vita e Parola. La mia Opera (ed. Jaca Book, 2010), volume che accompagna l'Opera Omnia dello stesso. Ne abbiamo parlato con Paulo Barone, traduttore dal tedesco di Panikkar e autore di un libro sul filosofo catalano.

Ha conosciuto Panikkar personalmente e da vicino, passando lunghi periodi in sua compagnia. Che ritratto può offrircene?
Non vorrei dare l'impressione di scansare la domanda, ma, in generale, conoscere "da vicino" qualcuno, trascorrere con lui del tempo, può, nonostante le apparenze, non significare granché o addirittura essere fuorviante. Al pari di quella che viene definita "arte della vita", credo che esista anche un'arte del ritratto, non meno ardua per i tanti ostacoli e le molte trappole che occorre imparare ad evitare. A mio avviso due sono gli scogli principali che quasi inevitabilmente si parano dinnanzi a chi ritrae, quello della eccessiva familiarità, della consuetudine domestica - che ci fanno avvicinare troppo - e quello dell'acribia filologica, del disinteresse critico, che disseziona anatomicamente l'oggetto del proprio studio da una distanza per così dire siderale. Entrambi gli sguardi hanno qualcosa di morboso e rischiano di alimentare - per opposti motivi - una sorta di "culto della personalità". Nel caso specifico di Panikkar, niente come questa tendenza al culto avrebbe il sapore del tradimento. Una figura come la sua sfugge infatti quasi programmaticamente a qualunque classificazione, senza per questo essere un'eccezione o un'anomalia. Alla fin fine l'immagine che mi sono fatto di Panikkar - e proprio grazie a lui - è di un agglomerato di goccioline, una condensa di vapori, come una nube energeticamente carica. Certi problemi da lui sollevati, certi piccoli aneddoti biografici e certe sue pagine dovrebbero essere annodati insieme per tentare di mettere a fuoco un simile paesaggio aereo. È evidente che questa messa a fuoco non circoscrive un bel nulla, che è destinata ad un certo fallimento. Ma è proprio fallendo la presa diretta, rimanendo con un pugno di mosche in mano - ovvero solo con un certo aroma, con una certa risonanza - che potremmo realizzare un ritratto sensibile dell'invisibile, di ciò che scompare, cioè l'unico ritratto che conti davvero, un ritratto all'altezza dei tempi. E allora una simile immagine di Panikkar potrebbe diventare il prototipo dell'immagine di ciascuno di noi.

In Vita e Parola. La mia opera, volume che accompagna l'Opera Omnia, compare per la prima volta in Italia una cospicua nota biografica sul filosofo. Perché così tardi?
Forse si è pensato che il libro Vita e Parola, che rappresenta una bella introduzione al pensiero di Panikkar, fosse il posto più adatto. Mi risulta tuttavia che ci siano state precedenti biografie, almeno in altre lingue, vedi la lunga monografia apparsa già nel 1985 sulla rivista spagnola «Antropos», ma anche diverse tesi di dottorato.

Nel libro Raimon Panikkar, a partire dal titolo, mette l'accento sullo stretto legame tra la vita e la parola, la teoria e la prassi. Di che si tratta?
L'ordine dei vari volumi come appare nello schema generale dell'Opera Omnia, e come lo stesso autore sottolinea nella breve introduzione, segue le varie tappe della sua vita, anche se mi risulta non sia stato fatto intenzionalmente. Ad ogni modo, pur nel massimo rigore concettuale, Panikkar ha sempre trovato riduttivo e alla fine implausibile la "pura coerenza" logica e in generale l'idea che il pensiero risolva in se stesso, nelle proprie maglie e articolazioni argomentative, ciò che va sotto il nome di "essere". Che l'essere - o la vita - sia intimamente inintelligibile, non razionalizzabile è qualcosa di cui la ragione - quella filosofica in particolare - non sembra capace di darsi pace (anche se molti filosofi contemporanei rivendicano addirittura questo scarto, questa faglia, ritenendoli, contro il pensiero classico, imprescindibili). Al contrario, tra vita e pensiero può esserci una relazione armonica: è il messaggio di speranza di Panikkar, una "nuova innocenza" in cui non si sa di sapere a vantaggio di una certa "spontaneità" che sia in accordo con una certa capacità di cogliere le differenze. Una vita "piena", insomma.

Lei ha tradotto dal tedesco diversi capitoli dei 4 volumi finora usciti dell'Opera Omnia di Panikkar. Com'è il lavoro di traduzione di un autore come Raimon Panikkar?
Non è semplice, naturalmente, visto la complessità del suo pensiero oltre alla difficoltà rappresentata dalla traduzione. Inoltre l'autore stesso e la curatrice sono intervenuti spesso nella revisione della traduzione, sempre soggetta a cambiamenti perché l'opera, come afferma lo stesso autore, non vuole essere un'opera di filologia, ma l'espressione di ciò in cui l'autore si riconosce al termine della sua lunga attività letteraria. Inoltre, come sanno tutti coloro che frequentano i suoi testi, l'andamento del pensiero panikkariano è a spirale: i temi sono costanti - e ciò può dare al lettore e al traduttore l'impressione di "possederne" il senso o almeno l'inventario sommario - ma ogni singolo testo apporta immancabilmente una o più variazioni decisive che spiazzano l'impressione suddetta. Così ogni scritto di Panikkar contiene una novità non facile da restituire.

Panikkar ha ricevuto nel 2001 il premio Nonino "a un maestro del nostro tempo". Cosa ha da dire il pensatore catalano agli uomini di quest'epoca?
Alla domanda perché sono così pochi I maestri, ricordo che rispose forse che la crisi non riguarda tanto I maestri, quanto i discepoli, cioè persone disposte veramente a procedere lungo un percorso spirituale che comporta il superamento delle loro ego, delle loro sicurezze, pur rimanendo fedeli alla propria coscienza, anche nei confronti del maestro. Ma questo è un tema che meriterebbe un approfondimento - con strumenti anche psicoanalitici - impossibile in questa sede. In conclusione, direi, con una battuta che un maestro, al pari di un grande autore, è sempre pieno, come sostiene anche Deleuze, di humour. Fa ridere molto, o sorridere - ed egli stesso è capace di ridere - non perché la sappia lunga, ma perché è capace di essere attento all'ignoto che bussa alla porta. Ne sa qualcosa, e ride. (Chi non conosce il riso di Panikkar?)

(«il Recensore.com», 13 maggio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano