Pietro Barcellona, nel suo L'ineludibile questione di Dio (ed. Marietti, 2009, scritto a quattro mani con Francesco Ventorino), non risparmia strali proprio a nessuno: si scaglia contro
l'arrogante pretesa di affidare al sapere scientifico oggi dominante il controllo della vita e della morte degli esseri umani;per lui l'ateo è
un personaggio sostanzialmente ottuso e allo stesso tempo altezzoso, che non riesce a sopportare l'idea di non essere padrone assoluto dei propri pensieri e della propria volontà
e insufficiente è
la razionalità scientifica, la cui capacità di spiegare è inversamente proporzionale a quella di comprendere.Ma il libro non è un'invettiva. Tutt'altro. Il punto è che la riflessione parte da una domanda viscerale, impossibile da fronteggiare su un terreno
freddamente speculativo:
quale onnipotente presunzione di potere ha accecato l'uomo contemporaneo fino al punto da non rendergli più percepibile il senso del limite della nostra capacità conoscitiva?La contemporaneità non ha affatto svelato ogni enigma (in primo luogo quello della morte), ma ha preteso di farlo, al punto da propagandare che ciò che la scienza non ha ancora fatto oggi, ebbene, lo farà certo domani (che riporta alla mente la satira di Gaber sul dogmatismo comunista degli anni '70: "la rivouzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente"); al punto da denigrare come superstiziosa ogni manifestazione religiosa che ai limiti umani faccia riferimento; al punto da essere ossessionata - nell'epoca della morte di Dio e del disincanto del mondo - dalla dimostrazione dell'inesistenza di Dio.
Da tutto ciò il professore catanese prende le distanze. Sulla stessa linea Ventorino il quale (nell'intervista a entrambi gli autori che chiude il volume, a cura di Sergio Cristaldi) spiega che
la negazione della domanda su Dio nasce da una arrogante autosufficienza dell'uomo moderno e dalla paura che egli ha di non poter più disporre di se stesso in modo autonomo e libero nell'ipotesi che Dio ci sia.Ma l'autosufficienza è solo presunta, e perciò arrogante: perché l'uomo, di fatto, non ha
il potere di rendere bianco o nero un solo capellodella sua stessa testa (Mt 5,36).
I due studiosi (prete cattolico, Ventorino; "non credente" ed ex militante comunista, Barcellona) concordano sul fatto che la lucidità, l'onestà intellettuale e la razionalità siano dalla parte del riconoscimento del limite intrinseco dell'umana facoltà di conoscere (e di essere): la realtà è sempre (in parte) nuova per l'uomo, sempre (in parte) opaca alla mente. Un limite, dunque, non solo del pensiero, ma anche dell'essere: l'uomo non è padrone assoluto delle cose.
Con un linguaggio estraneo ad ogni tecnicismo teologico o filosofico e alieno da qualsiasi rivendicazione confessionale, questo libro non si rivolge né al credente supinamente assuefatto alla propria credenza, né al laicista che
vuole diventare padrone della vita e della morte.Esso è piuttosto rivolto a quel laico in ricerca che può anche essere empio, trasgressore, ribelle, che può perfino bestemmiare contro l'Origine e la Fine; ma che sa comunque mantenere il buon senso e la saggezza
di non rivendicarne la piena disponibilità.
(«il Recensore.com», 20 maggio 2010)