lunedì 28 dicembre 2009

L. Tussi, Memorie e Olocausto, ed. Aracne, 2009

Il 27 gennaio 2001 viene istituita la “Giornata della Memoria”: da qui prende spunto lo studio di Laura Tussi, docente e giornalista che si occupa dei problemi della pedagogia e della didattica, nel suo recente Memorie e Olocausto (ed. Aracne, 2009). La memoria – una volta cristallizzata in un evento da celebrare – rischia di perdere il suo potenziale vitale e di ridursi a mera rievocazione di eventi passati, che nulla più hanno da spartire con noi: da qui la centralità di una pedagogia in grado di trasmettere l’importanza della storia per noi, al di là della pura elencazione dei fatti.
Il discorso segue quattro binari principali: quello dell’analisi dell’Olocausto, ciò che è stato, come è potuto avvenire, in una trattazione ricca di dettagli; quello della “differenza di genere”, in cui si pone l’accento sulla diversità come motore dell’esclusione fino allo sterminio – degli ebrei, degli omosessuali, degli zingari, degli oppositori politici, delle donne; quello della didattica della storia, cioè del come sia più opportuno insegnare alle giovani generazioni una materia che (a differenza ad esempio della matematica) si nutre di testimonianza e di esperienza e non di mera informazione; quello infine del progetto politico, di come si può utilizzare la memoria per una società che intende fare tesoro del passato, soprattutto degli errori commessi.
Di particolare importanza è dunque il problema dell’insegnamento, mestiere “terribile e affascinante” (come Tussi sottolinea citando Norberto Bobbio): 
terribile per le responsabilità che comporta; affascinante perché stabilisce il dialogo con le giovani generazioni [...] per questo risulta un mestiere estremamente difficile.
Difficoltà accresciuta dal lavoro di quelli che “remano contro”, i revisionisti, i negazionisti, tutti quelli che in qualche modo cercano di alterare la storia riscrivendola o addirittura di negarne in quanto tale ogni utilità per il nostro presente.
Tussi, che si lascia talvolta andare a considerazioni discutibili circa il carattere in-umano della Shoah, come quando afferma che
forse mai capiremo la Shoah perché bisogna essere demoni per capirla e concepirla completamente, globalmente;
oppure quando parla delle
matrici culturali [...] da cui ha preso corpo l’origine del demoniaco,
evidenzia che la memoria della Shoah non è proprietà né prerogativa di nessuno in particolare, perché essa appartiene a tutti, alla destra come alla sinistra, ai progressisti come ai conservatori, ai cristiani come ai laici. Memoria, conclude l’autrice, dotata di un insostituibile “valore creativo”: perché memoria significa consapevolezza che il passato può sempre ripresentarsi, con le sue distorsioni, i suoi massacri, la sua barbarie (dis)umana. Conservare la memoria non è allora un atto passivo di custodia di ciò che è ormai morto, ma al contrario azione vitale di riproposizione di ciò che veramente conta per la nostra civiltà: la vita, la gioia, la pace.
Il volume è leggibile e graficamente curato. Ben documentato e fondato su una solida bibliografia – all’interno della quale spiccano i lavori sull’Olocausto di Zygmunt e Janina Bauman, oltre ai classici di Hannah Arendt, Bruno Bettelheim, Primo Levi – lo studio è arricchito dalle interviste dell’autrice ad Amos Luzzatto, Massimo Cacciari, Moni Ovadia.

(«il Recensore.com», 24 dicembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano