lunedì 30 novembre 2009

Nuovi miti d'oggi


Quante volte vi è capitato di vedere una adolescente, ma anche una ragazzina di dieci anni oppure – quel che è peggio – una signora matura o attempata vestire in abiti succinti, per non dire discinti, tanto da vederne la biancheria intima – di sotto come di sopra: mi ripugna un po’ perfino scriverne – o in assenza di questa le tracimanti forme generose? Donne di tutte le età (ma proprio tutte; mancano all’appello della mia esperienza personale delle ultrasessantenni, ma credo che non avrei grosse difficoltà a reperirne) che si abbassano in tutti i modi scoprendo metri quadrati di slip, tanga, brasiliani e varia mutanderia, reggiseni dalle scollature, scollature senza reggiseni, ombelichi e tatuaggi al fondo, ebbene sì, proprio al fondo della schiena.
È la moda, mi sono detto spesso; ed è vero che quando vanno di moda i jeans “a vita bassa” è poi difficile trovarne in vendita di normali. Ma oggi, dopo aver letto J. Garcin (a cura di), Nuovi miti d’oggi, ed. ISBN (insieme di saggi che, ispirato al più celebre predecessore scritto cinquant’anni fa da Roland Barthes, decostruisce i simboli della nostra epoca svelando come attorno ad essi si addensino le paturnie e le ossessioni contemporanee), mi rendo conto che avevo scorto la parte ma non l’intero.

«Qualche anno fa un settimanale femminile titolava: “Sei una porca?”. A tale domanda le redattrici del giornale facevano a gara a rivendicare con fierezza quella definizione, ci si rappresentava come l’ultima delle prostitute, la regina delle bagasce, la vacca assoluta. Il sesso è diventato l’ultima forma di snobismo alla quale occorre cedere, pena l’esclusione sociale».
J. GARCIN (A CURA DI), Nuovi miti d’oggi, ed. ISBN, 2008

Perché quella che si è diffusa in tutto il mondo occidentale non è stata una moda relativa all’abbigliamento femminile, ma qualcosa di ben più ampio e complesso: ciò che Pascal Bruckner definisce nel suo saggio “La nuova Eva” (pp. 40-43 della raccolta)
il trionfo mondiale della troietta: mogli inappuntabili, gran dame e brave ragazze che, da Rio a Mumbai, da Malaga a Stoccolma, mostrano il corpo, strizzano il seno e il sedere, fanno uscire le mutande dai pantaloni, insomma, ostentano un atteggiamento da pornostar con una naturalezza disarmante.
Non è un caso ovviamente che questo accada proprio oggi, nella nostra civiltà della sovraesposizione mediatica, dove l’ambizione di ogni donna è quella di essere “velina” e dove il peggior nemico non è più il puritanesimo, ma l’anonimato:
è come se le persone fossero pronte a tutto pur di avere un’esistenza sociale: a spogliarsi moralmente in televisione, e realmente nella vita quotidiana.
Non è dunque una questione estetica (l’estetica anzi, come dicevo prima, spesso ne soffre), di look, ma di esclusione sociale: di un ennesimo obbligo finalizzato a non esser considerate “out”. È tutt’altro che una liberazione o un’emancipazione sessuale, è soltanto un’ulteriore costrizione (all’abbigliamento, infatti, corrisponde ben di rado l’atteggiamento sessualmente disponibile ostentato con tanta aggressività). Come sembrò chiaro a tutti tranne che a De Sade, il cosiddetto libertino è tutt’altro che libero: chi ha letto i libri del marchese sa bene quanto severe possano essere le punizioni per chi ignora le ferree leggi del libertinaggio.
Insomma, tutta la nostra evoluzione culturale, tutta la nostra tecnologia, tutto il nostro progresso non ci hanno portato un adeguato progresso morale (come rileva a p. 96 Le Breton a proposito di un altro inquietante simbolo dei nostri giorni: il SUV). La vera liberazione non è quella sessuale (a tutt’oggi incompiuta), ma quella che ci dona la possibilità di essere nient’altro che ciò che siamo. Delle persone normali.

(«Il Caffè», 27 novembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano